Voti bassi, sì o no? È, in buona sostanza, la discussione che sta impegnando i docenti di un Liceo classico milanese, il Berchet. In un collegio docenti, infatti, il preside ha proposto di considerare l’ipotesi di non dare più voti inferiori al 4 perché sarebbero umilianti e creano troppa frustrazione.
Naturalmente il dibattito è aperto, tra gli insegnanti della scuola e sui media, dai blog su internet ai giornali. Il Berchet non passa inosservato e il tema è di quelli che coinvolgono le famiglie. Dicono la loro, inevitabilmente anche psicoterapeuti di diversa estrazione e opinione, aiutando a riflettere.
Questi alcuni dei nodi della discussione. La frustrazione: «Ho visto troppi ragazzi andare in crisi per una raffica di due», dice il preside del Berchet. Ragazzi e ragazze che magari abbandonano la scuola. Ma c’è chi dice che la frustrazione non si può e non si deve risparmiare a chi è in crescita. E che piuttosto il problema sono gli adulti, incapaci di accettare gli insuccessi dei più giovani. Già, gli adulti: con le loro attese spesso soffocano i ragazzi, siano i loro figli o i loro studenti. Succede a volte di trovare un insegnante così “concentrato” sulla materia che insegna da dimenticare chi ha davanti nello sforzo di apprendere. E succede anche di scoprire genitori ansiosi rispetto alla prestazioni scolastiche dei figli, alle quali affidano la conferma della propria funzione, il successo sociale e tante altre cose. C’è poi una considerazione generale della fragilità forse tipica delle nuove generazioni di oggi, sempre meno abituate in generale a far fronte alle difficoltà. Ma sarebbe una questione troppo ampia da analizzare.
E allora veniamo a qualche punto fermo. Il primo sta nel fatto che i docenti del Berchet si sono fermati a discutere. Addirittura chiedendo tempo per farlo, un rinvio del collegio. Sono insegnanti e prendono sul serio il compito educativo. A scuola succede ancora. Naturalmente non solo al Berchet, ed è un bel segnale. Questo è il lavoro vero, profondo, della scuola: discutere, considerare le esigenze educative, cercare modalità di intervento. Non dimenticare che le materie scolastiche, i voti, le metodologie didattiche, altro non sono che strumenti attraverso i quali promuovere l’allievo, fine della scuola.
Un altro punto fermo: la relazione educativa. Sta qui il nodo in rapporto ai voti. Un 2, per esempio, dato in modo non credibile e da una persona che non è credibile è frustrante. In un altro contesto può avere un effetto diverso: riconoscimento, stimolo, invito al riscatto. La relazione educativa che l’insegnante è in grado di determinare in classe è quella che decide anche l’efficacia dei voti, compresi quelli positivi. Una relazione che dovrebbe poter comprendere anche gli adulti coinvolti nel processo educativo complessivo, a cominciare dai genitori. Magari non scendere sotto il 4, per restare al caso del Berchet, può essere un aiuto a valorizzare una volta di più proprio la relazione educativa. O forse no. E di questo gli insegnanti, probabilmente, discutono. Certo non è una questione di numeri.
E allora ben venga il dibattito del Berchet: ci ricorda che abbiamo ancora una scuola viva e vivace, cui possiamo e dobbiamo dare credito.