Pubblichiamo uno stralcio della presentazione del Rapporto sulla Città «Milano 2016»
La “città dell’uomo” è il sogno moderno di un’aspirazione antica. In essa Dio ha piantato la sua tenda, ma sono gli uomini e le donne a viverla e ad animarla secondo quell’altro pezzo di inconscio culturale italiano che è l’allegoria del Buon governo e del Cattivo governo (oggi si direbbe “la questione morale”). La raffigurazione principe è nello splendido affresco di Siena, dove nel primo, il Buon governo, sono le virtù civiche e la Giustizia a regnare e a distribuire secondo l’operosità e i bisogni, mentre nel secondo regna il Diavolo, colui che divide. Ecco, teniamoci ben vivo e chiaro che la “città dell’uomo” è uno dei muri portanti della nostra Costituzione.
Basterebbe leggere lo straordinario discorso che Giorgio La Pira tenne il 2 ottobre del 1955 ai sindaci delle capitali di tutto il mondo e che aveva come titolo «Per la salvezza delle città di tutto il mondo». È sempre sorprendente l’incontro tra gli uomini. Il sodalizio tra La Pira e Lazzati fu uno di questi. Il primo tacciato d’essere un po’ visionario, che realizzava la politica come esercizio di un sogno alto, il biblico «Dio che parla attraverso i sogni». L’esordio del discorso appena citato suonava così: «Le città hanno una vita propria: hanno un loro proprio essere misterioso e profondo: hanno un loro volto: hanno, per così dire, una loro anima e un loro destino: non sono cumuli occasionali di pietra: sono misteriose abitazioni di uomini e più ancora, in certo modo, misteriose abitazioni di Dio: Gloria Domini in te videbitur». Giuseppe Lazzati, l’educatore-santo, che pone la formazione politica (alla polis) dei giovani come l’eredità d’un sogno antico: educare, educere, trarre fuori dalle schiavitù dell’ignoranza, per andare verso libertà, autonomia, responsabilità. E dà vita al suo lascito morale, civile, religioso prima di morire, appunto: la “città dell’uomo”.
La politica laicizzata al massimo, non solo rispetto alle chiese, ma all’universo del sogno, è il problema: il vero, autentico problema di oggi. È urgente chiamare a raccolta chi non ci sta, chi ritiene una perdita secca l’impoverimento di idealità, di valori, di prassi, di vita buona. Le vie per mobilitarsi sono numerose.
Basta avere voglia, ascolto, disponibilità, creatività sociale e politica. Prospettiamo qualche traccia di lavoro, materiale che potrebbe servire da base, su cui continuare a riflettere. Non si tratta di conclusioni. Non ho questa pretesa.
La prima traccia
Occorre avere coscienza delle condizioni attuali: del sogno, della considerazione che di esso abbiamo, e della politica, della deriva che qualcuno le ha impresso e alla quale, coscientemente o inconsciamente, noi abbiamo di fatto consentito (quando addirittura non colluso, colpevolmente) con la nostra inanità, con la tentazione mai sopita di atteggiamenti pusillanimi, magari con la difesa, attiva o passiva non importa, dei nostri orticelli. Prendiamo atto e riflettiamo. E anche quando andiamo con la memoria ad altri tempi, della nostra generazione che “ha sognato”, eccome ha sognato, continuiamo a nutrire lo spirito costruttivo di chi sa che è al presente che occorre rispondere e che è guardando avanti che bisogna immaginare. Voltarsi indietro serve se viene ammaestramento a proseguire. Diversamente, il passato è un fardello di cui cercar di liberarsi al più presto.
La seconda traccia
Impariamo a fermarci, a praticare l’arte della sosta, della tappa. Il 70° della Repubblica, e dell’Ambrosianeum nel nostro piccolo, è occasione propizia e fortunata. Diamoci un po’ di tregua, concediamoci qualche spazio di silenzio. Quando le voci tacciono, allora si creano le condizioni perché si produca in noi una sorta di purificazione da tante sollecitazioni contingenti. I sogni, quelli che solitamente la letteratura chiama “grandi sogni”, che avviandoci alla conclusione di questo discorso potremmo definire “sogni politici”, non trovano dimora in menti provate da interessi e preoccupazioni. È un esercizio predisporre la mente al sogno, umilmente e con riguardo. Non v’è da stancarsi di porgere l’orecchio e aspettare. Anche quando tace l’inconscio, quello personale e quello collettivo, quello dei singoli testimoni e quello culturale, ha qualcosa da dire.
La terza traccia
La terza traccia riguarda la responsabilità del trasmettere. Ho parlato dell’obbligo generazionale che avverto come forte impegno etico-politico. Qui aggiungo una specifica. Noi affidiamo alle generazioni che vengono subito dopo di noi, con le quali lavoriamo direttamente, e a quelle future, dei valori, che noi per primi abbiamo vissuti, e un metodo. Le soluzioni che in base all’esperienza abbiamo adottato per tradurre quei valori sono esempi, magari anche buoni, ma non contenuti da accompagnare con la pretesa che siano replicati e mandati a memoria. La ripetitività uccide il sogno. Questo, invece, riesce a essere tale e a sprigionare tutta la libertà, l’immaginario, la creatività di cui è capace, ad alimentare la curiosità che si rinnova e lo spirito di ricerca mai domo, mai saturante, se è lasciato essere quello che è: una fucina, che dispiega le potenzialità trasformative nell’intimità dell’individuo e nella socialità della polis. Sì, il sogno, che dal buio della notte, nostra e del mondo, getta potenti lampi di luce e di speranza su ogni alba a venire, generando nuova vita e voglia di viverla appieno per sé e per gli altri. Perché vale.