Sono donne coraggiose e tenaci quelle che riescono a liberarsi dalla schiavitù della prostituzione. Per molte di loro il primo spiraglio di speranza si apre con l’incontro con le Unità di strada (Uds): persone che, preso a cuore il problema della tratta delle donne, si adoperano per sconfiggerlo. Venerdì 16 aprile si è tenuto il primo incontro del corso organizzato dalla Caritas Ambrosiana per la formazione di tali volontari. Andranno a rafforzare un gruppo di oltre 100 persone che la notte gira per le strade della metropoli per incontrare chi sulla strada lavora. I numeri ne raccontano l’intensa attività: solo nel 2009 le Uds della Caritas hanno avvicinato 314 ragazze a Milano.
«Il corso è articolato su tre appuntamenti – spiegano suor Claudia Biondi, Sabrina Ignazi e Valentina Pedroli, attive nel Servizio tratta e prostituzione di Caritas Ambrosiana -. Inizialmente affrontiamo il tema della normativa vigente e della diffusione della prostituzione a Milano. Il secondo incontro è dedicato alla rete dei servizi a disposizione delle donne di strada e infine l’ultimo alla metodologia dell’approccio con le prostitute». La peculiarità delle Unità di strada è insita nel loro nome, spiega suor Claudia: «Avviciniamo le donne sul marciapiede dove sono costrette a lavorare, non aspettiamo che siano loro a cercarci. È un rovesciamento della prospettiva: molti servizi sono già attivi anche a livello statale in difesa delle donne, ma si tratta in sostanza di uffici o sportelli. Noi compiamo il primo passo senza attendere che siano le prostitute a farlo».
Racconta Valentina Pedroli, per lungo tempo impegnata sul campo, che «la reazione delle donne è del tipo più disparato, ma generalmente positiva. Le avviciniamo in gruppi di tre: una volontaria rimane in auto, due scendono, offrono una bibita in estate o un the caldo d’inverno e lasciano un volantino che riporta i contatti che possono chiamare per ricevere aiuto». È un modo per rompere il ghiaccio e creare una relazione che poi spesso prosegue: «Bisogna considerare che le prostitute sostanzialmente si rapportano notte e giorno solo con 3 tipi di persone: i loro clienti, gli sfruttatori e, ogni tanto, le forze dell’ordine in occasione di retate o controlli».
In un quadro del genere, aggiunge Pedroli, «diventa fondamentale per le donne anche solo capire che esiste qualcuno interessato a loro come persone. Qualcuno che può aiutarle perché ha a cuore i loro problemi». Nel 2009, spiega Sabrina Ignazi, l’Unità di strada “Avenida” che fa capo a Caritas ha totalizzato 92 uscite. Circa due alla settimana, secondo una rotazione che impegna i volontari un paio di volte al mese. «Siamo entrati in contatto – precisa – con 314 donne: 198 di queste erano al primo incontro con noi. Il numero dà la misura di un ampio ricambio che porta le prostitute a spostarsi su territori anche distanti ostacolando la creazione di relazioni che è alla base dell’attività delle Uds».
Al primo approccio fanno seguito appuntamenti per approfondire il bisogno della donna e comprendere le possibili vie d’uscita dal racket che le costringe in schiavitù. I volontari di “Avenida”, spiega Ignazi, «sono preparati anche da un punto di vista normativo: la legge tutela le donne che trovano la forza di fuggire dai loro aguzzini». Il riferimento in particolare è alla legge Merlin, all’articolo 13 della legge sulla tratta degli esseri umani e all’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione che garantisce agli stranieri il permesso di soggiorno in Italia per motivi di carattere sociale o di sicurezza.
Nonostante ciò, il percorso di liberazione è irto di ostacoli. «Molte donne coraggiose e soprattutto tenaci – ricorda Valentina Pedroli – sono riuscite a ricostruire la loro vita. Per farlo devono compiere un percorso che dura anni e che a un certo punto fa perdere loro quasi tutte le relazioni che avevano. Si trovano sole in un Paese straniero. Ma se hanno la forza di resistere e portare a termine il percorso, non si fanno più intrappolare nella schiavitù dello sfruttamento». La vita delle donne di strada è intrappolata nella violenza, nell’aridità dei rapporti, nella solitudine, nella paura e nel dolore.
Per questo suor Claudia non ci sta a sentire le tante banalità e i luoghi comuni che accompagnano alcuni discorsi sulle prostitute. «Si parla di “lavoro più antico del mondo” – elenca la religiosa -, si dice che gli uomini hanno esigenze sessuali, qualcuno pensa che le donne scelgano la strada perché le fa guadagnare bene in poco tempo. Tutte stupidaggini e giustificazioni. Nessuna donna, potendo scegliere, deciderebbe di prostituirsi. Anzi vengono prelevate o comprate nel Paese d’origine e trattate come vere schiave. I 30 euro che ricevono a prestazione vengono per lo più ritirati dai protettori sotto forma di affitti, di rimborso per la spesa del viaggio dall’Africa o dall’Est Europa all’Italia o ceduti in cambio della possibilità di lavorare su un marciapiede. Il pezzo di strada, il joint, come lo chiamano loro». La verità, aggiunge, «è che i clienti credono di lavarsi la coscienza con i soldi. Pagano e dunque fanno passare in secondo piano la sofferenza che sta dietro alla prostituzione». C’è ancora tanto da fare in ambito educativo, conclude: «A partire dalle agenzie educative quali la famiglia, la scuola, gli oratori. Anche se la società sembra in caduta libera sull’argomento, è urgente insistere sulle relazioni, accendere l’attenzione sul rispetto di sé e dell’altro». Sono donne coraggiose e tenaci quelle che riescono a liberarsi dalla schiavitù della prostituzione. Per molte di loro il primo spiraglio di speranza si apre con l’incontro con le Unità di strada (Uds): persone che, preso a cuore il problema della tratta delle donne, si adoperano per sconfiggerlo. Venerdì 16 aprile si è tenuto il primo incontro del corso organizzato dalla Caritas Ambrosiana per la formazione di tali volontari. Andranno a rafforzare un gruppo di oltre 100 persone che la notte gira per le strade della metropoli per incontrare chi sulla strada lavora. I numeri ne raccontano l’intensa attività: solo nel 2009 le Uds della Caritas hanno avvicinato 314 ragazze a Milano.«Il corso è articolato su tre appuntamenti – spiegano suor Claudia Biondi, Sabrina Ignazi e Valentina Pedroli, attive nel Servizio tratta e prostituzione di Caritas Ambrosiana -. Inizialmente affrontiamo il tema della normativa vigente e della diffusione della prostituzione a Milano. Il secondo incontro è dedicato alla rete dei servizi a disposizione delle donne di strada e infine l’ultimo alla metodologia dell’approccio con le prostitute». La peculiarità delle Unità di strada è insita nel loro nome, spiega suor Claudia: «Avviciniamo le donne sul marciapiede dove sono costrette a lavorare, non aspettiamo che siano loro a cercarci. È un rovesciamento della prospettiva: molti servizi sono già attivi anche a livello statale in difesa delle donne, ma si tratta in sostanza di uffici o sportelli. Noi compiamo il primo passo senza attendere che siano le prostitute a farlo».Racconta Valentina Pedroli, per lungo tempo impegnata sul campo, che «la reazione delle donne è del tipo più disparato, ma generalmente positiva. Le avviciniamo in gruppi di tre: una volontaria rimane in auto, due scendono, offrono una bibita in estate o un the caldo d’inverno e lasciano un volantino che riporta i contatti che possono chiamare per ricevere aiuto». È un modo per rompere il ghiaccio e creare una relazione che poi spesso prosegue: «Bisogna considerare che le prostitute sostanzialmente si rapportano notte e giorno solo con 3 tipi di persone: i loro clienti, gli sfruttatori e, ogni tanto, le forze dell’ordine in occasione di retate o controlli».In un quadro del genere, aggiunge Pedroli, «diventa fondamentale per le donne anche solo capire che esiste qualcuno interessato a loro come persone. Qualcuno che può aiutarle perché ha a cuore i loro problemi». Nel 2009, spiega Sabrina Ignazi, l’Unità di strada “Avenida” che fa capo a Caritas ha totalizzato 92 uscite. Circa due alla settimana, secondo una rotazione che impegna i volontari un paio di volte al mese. «Siamo entrati in contatto – precisa – con 314 donne: 198 di queste erano al primo incontro con noi. Il numero dà la misura di un ampio ricambio che porta le prostitute a spostarsi su territori anche distanti ostacolando la creazione di relazioni che è alla base dell’attività delle Uds».Al primo approccio fanno seguito appuntamenti per approfondire il bisogno della donna e comprendere le possibili vie d’uscita dal racket che le costringe in schiavitù. I volontari di “Avenida”, spiega Ignazi, «sono preparati anche da un punto di vista normativo: la legge tutela le donne che trovano la forza di fuggire dai loro aguzzini». Il riferimento in particolare è alla legge Merlin, all’articolo 13 della legge sulla tratta degli esseri umani e all’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione che garantisce agli stranieri il permesso di soggiorno in Italia per motivi di carattere sociale o di sicurezza.Nonostante ciò, il percorso di liberazione è irto di ostacoli. «Molte donne coraggiose e soprattutto tenaci – ricorda Valentina Pedroli – sono riuscite a ricostruire la loro vita. Per farlo devono compiere un percorso che dura anni e che a un certo punto fa perdere loro quasi tutte le relazioni che avevano. Si trovano sole in un Paese straniero. Ma se hanno la forza di resistere e portare a termine il percorso, non si fanno più intrappolare nella schiavitù dello sfruttamento». La vita delle donne di strada è intrappolata nella violenza, nell’aridità dei rapporti, nella solitudine, nella paura e nel dolore.Per questo suor Claudia non ci sta a sentire le tante banalità e i luoghi comuni che accompagnano alcuni discorsi sulle prostitute. «Si parla di “lavoro più antico del mondo” – elenca la religiosa -, si dice che gli uomini hanno esigenze sessuali, qualcuno pensa che le donne scelgano la strada perché le fa guadagnare bene in poco tempo. Tutte stupidaggini e giustificazioni. Nessuna donna, potendo scegliere, deciderebbe di prostituirsi. Anzi vengono prelevate o comprate nel Paese d’origine e trattate come vere schiave. I 30 euro che ricevono a prestazione vengono per lo più ritirati dai protettori sotto forma di affitti, di rimborso per la spesa del viaggio dall’Africa o dall’Est Europa all’Italia o ceduti in cambio della possibilità di lavorare su un marciapiede. Il pezzo di strada, il joint, come lo chiamano loro». La verità, aggiunge, «è che i clienti credono di lavarsi la coscienza con i soldi. Pagano e dunque fanno passare in secondo piano la sofferenza che sta dietro alla prostituzione». C’è ancora tanto da fare in ambito educativo, conclude: «A partire dalle agenzie educative quali la famiglia, la scuola, gli oratori. Anche se la società sembra in caduta libera sull’argomento, è urgente insistere sulle relazioni, accendere l’attenzione sul rispetto di sé e dell’altro». – – Il 30 per cento sono romene
Caritas Ambrosiana
Le Unità di strada di notte per salvare le prostitute
Un gruppo di oltre 100 persone gira nella metropoli per incontrare chi "lavora" sul marciapiede: solo nel 2009 ha avvicinato 314 ragazze a Milano. Partito un corso per nuovi volontari
di Filippo MAGNI Redazione
21 Aprile 2010Da sinistra Sabina Ignazi, suor Claudia Biondi e Valentina Pedroli