Il 27 e il 28 gennaio, presso il Centro Congressi della Fondazione Cariplo (via Romagnosi 8, Milano), si svolgerà un convegno per fare il punto su dieci anni di immigrazione in Lombardia. A organizzarlo è l’Ismu, Istituto per lo studio della multietnicità.
Quali sono i problemi di chi si trasferisce in Italia e dopo qualche tempo viene raggiunto dai suoi familiari? L’abbiamo chiesto al professor Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia delle migrazioni all’Università degli Studi di Milano e direttore della rivista Mondi migranti.
Ricongiungimenti familiari: come è cambiata la situazione negli ultimi dieci anni?
Sicuramente in questo periodo i permessi per motivi familiari sono aumentati notevolmente. Basti pensare che se quelli di lavoro hanno avuto un incremento del 100%, i ricongiungimenti sono stati oltre il 200%.
Quali problemi avete riscontrato a questo proposito?
Essenzialmente due: la quantità e le condizioni giuridiche. Il ricongiungimento è un’impresa difficile e piena di ostacoli. Dalla nostra ricerca emerge che il 50% delle famiglie ci mette 7 anni per riuscire a far venire qui i figli o il marito. E spesso si è costretti a scegliere. La possibilità di trasferirsi in Italia è infatti legata al reddito e alle condizioni abitative: più è alto il numero delle persone che si vogliono trasferire, maggiore deve essere la disponibilità di risorse. Ci sono questioni di carattere psicologico e relazionale. In Italia arrivano soprattutto donne e all’inizio si scontrano con le difficoltà comuni a quelle italiane che non hanno una famiglia alle spalle. Alcune di queste cercano poi di far venire in Italia i loro figli. Ma se sono piccoli devono lasciarli a qualcuno sia di giorno sia di notte, perché, per la stragrande maggioranza, le immigrate sono badanti che vivono nel domicilio di chi assistono, mentre se sono adolescenti i ragazzi dovranno rimanere soli molte ore al giorno, proprio in un’età tanto delicata e in un Paese straniero.
Cosa succede, invece, quando sono raggiunte qui dai mariti?
La maggior parte dei coniugi viene in Italia per via informale, lavorando in nero, perché è la strada più semplice e rapida. L’uomo qui dipende dal punto di vista economico e linguistico dalla donna e per trovare lavoro deve far riferimento alla sua rete di contatti: in questo modo è destituito dal suo ruolo di bread winner, “colui che si guadagna il pane” e viene privato del suo status. Tutto questo mette inevitabilmente a repentaglio l’equilibrio familiare. A complicare le cose ci sono poi certamente i problemi economici, la ricerca di una casa e la necessità di conciliare la famiglia con il lavoro. La situazione degli immigrati è un po’ come quella delle vetture che partono da un luogo, per strada fanno salire alcune persone, qualcun altro scende perché non ce la fa, si spostano sul territorio e per tutto il tragitto è forte la paura per il controllo dei documenti, perché questa verifica può essere un pericolo per la stabilità.
Emergono aspetti positivi?
Sì. Abbiamo riscontrato che molte famiglie italiane si fanno carico delle donne che lavorano da loro, le aiutano a compilare i moduli del ricongiungimento e, per esempio, offrono ospitalità ai loro cari una volta che arrivano in Italia, talvolta addirittura riconoscendoli come parte del proprio nucleo familiare. Doveri che vanno ben al di là delle condizioni contrattuali. C’è, quindi, un aiuto dal basso verso gli immigrati che vogliono ricostituirsi una famiglia qui in Italia.
Cosa si può auspicare per il futuro?
Ormai da noi si è riconosciuta in modo unanime l’importanza delle donne straniere per le nostre famiglie. Quello che serve adesso è, invece, concedere loro il diritto a farsene una.
C’è qualche particolarità nel territorio lombardo e, soprattutto in quello milanese, a proposito dell’immigrazione?
Da noi c’è una forte contraddizione tra la realtà dei fatti e il modo di vedere lo straniero. Da un lato siamo la regione più multietnica d’Italia: gli anziani che, sono la fascia della popolazione che conosce meglio il dialetto, sono quelli che hanno a che fare più di tutti con donne che arrivano da lontano. Ma è difficile acquisire una mentalità multietnica: sono ancora molti ad aborrire questa trasformazione. Il 27 e il 28 gennaio, presso il Centro Congressi della Fondazione Cariplo (via Romagnosi 8, Milano), si svolgerà un convegno per fare il punto su dieci anni di immigrazione in Lombardia. A organizzarlo è l’Ismu, Istituto per lo studio della multietnicità.Quali sono i problemi di chi si trasferisce in Italia e dopo qualche tempo viene raggiunto dai suoi familiari? L’abbiamo chiesto al professor Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia delle migrazioni all’Università degli Studi di Milano e direttore della rivista Mondi migranti.Ricongiungimenti familiari: come è cambiata la situazione negli ultimi dieci anni?Sicuramente in questo periodo i permessi per motivi familiari sono aumentati notevolmente. Basti pensare che se quelli di lavoro hanno avuto un incremento del 100%, i ricongiungimenti sono stati oltre il 200%.Quali problemi avete riscontrato a questo proposito?Essenzialmente due: la quantità e le condizioni giuridiche. Il ricongiungimento è un’impresa difficile e piena di ostacoli. Dalla nostra ricerca emerge che il 50% delle famiglie ci mette 7 anni per riuscire a far venire qui i figli o il marito. E spesso si è costretti a scegliere. La possibilità di trasferirsi in Italia è infatti legata al reddito e alle condizioni abitative: più è alto il numero delle persone che si vogliono trasferire, maggiore deve essere la disponibilità di risorse. Ci sono questioni di carattere psicologico e relazionale. In Italia arrivano soprattutto donne e all’inizio si scontrano con le difficoltà comuni a quelle italiane che non hanno una famiglia alle spalle. Alcune di queste cercano poi di far venire in Italia i loro figli. Ma se sono piccoli devono lasciarli a qualcuno sia di giorno sia di notte, perché, per la stragrande maggioranza, le immigrate sono badanti che vivono nel domicilio di chi assistono, mentre se sono adolescenti i ragazzi dovranno rimanere soli molte ore al giorno, proprio in un’età tanto delicata e in un Paese straniero.Cosa succede, invece, quando sono raggiunte qui dai mariti?La maggior parte dei coniugi viene in Italia per via informale, lavorando in nero, perché è la strada più semplice e rapida. L’uomo qui dipende dal punto di vista economico e linguistico dalla donna e per trovare lavoro deve far riferimento alla sua rete di contatti: in questo modo è destituito dal suo ruolo di bread winner, “colui che si guadagna il pane” e viene privato del suo status. Tutto questo mette inevitabilmente a repentaglio l’equilibrio familiare. A complicare le cose ci sono poi certamente i problemi economici, la ricerca di una casa e la necessità di conciliare la famiglia con il lavoro. La situazione degli immigrati è un po’ come quella delle vetture che partono da un luogo, per strada fanno salire alcune persone, qualcun altro scende perché non ce la fa, si spostano sul territorio e per tutto il tragitto è forte la paura per il controllo dei documenti, perché questa verifica può essere un pericolo per la stabilità.Emergono aspetti positivi?Sì. Abbiamo riscontrato che molte famiglie italiane si fanno carico delle donne che lavorano da loro, le aiutano a compilare i moduli del ricongiungimento e, per esempio, offrono ospitalità ai loro cari una volta che arrivano in Italia, talvolta addirittura riconoscendoli come parte del proprio nucleo familiare. Doveri che vanno ben al di là delle condizioni contrattuali. C’è, quindi, un aiuto dal basso verso gli immigrati che vogliono ricostituirsi una famiglia qui in Italia.Cosa si può auspicare per il futuro?Ormai da noi si è riconosciuta in modo unanime l’importanza delle donne straniere per le nostre famiglie. Quello che serve adesso è, invece, concedere loro il diritto a farsene una.C’è qualche particolarità nel territorio lombardo e, soprattutto in quello milanese, a proposito dell’immigrazione?Da noi c’è una forte contraddizione tra la realtà dei fatti e il modo di vedere lo straniero. Da un lato siamo la regione più multietnica d’Italia: gli anziani che, sono la fascia della popolazione che conosce meglio il dialetto, sono quelli che hanno a che fare più di tutti con donne che arrivano da lontano. Ma è difficile acquisire una mentalità multietnica: sono ancora molti ad aborrire questa trasformazione. – – «La lentezza è solo burocrazia?» – La Costituzione spiegata agli immigrati – Cittadini consapevoli di diritti e doveri