07/10/2008
di Pino NARDI
Anche Milano ha le sue favelas. La città che tra sette anni ospiterà l’Expo e sarà sotto i riflettori di tutto il mondo registra molte zone da Terzo mondo. Da anni la società milanese più impegnata, a partire dalla Chiesa ambrosiana nelle sue diverse articolazioni, ha lanciato l’allarme. Eppure la situazione non è certo migliorata.
Lo evidenzia anche una mappa redatta dalla polizia municipale con le zone di sofferenza della metropoli, concentrate soprattutto nelle periferie. Aree dimesse, case abbandonate, campi nomadi non autorizzati, baraccopoli ospitano in mezzo a un degrado disumano migliaia di persone. E ogni tanto ci scappa il morto, come nel caso di Sesto San Giovanni.
«È forte la nostra indignazione, perché continuano a esserci situazioni in cui si costringe la gente a vivere come topi tra i topi – afferma suor Claudia Biondi, della Caritas Ambrosiana -. La politica degli sgomberi non ha cambiato niente, tranne che causare un peggioramento delle condizioni di tante persone, perché poi tutto è ritornato come prima».
Infatti gli abusivi scacciati forzosamente si sono poi spostati da una zona all’altra. Non è questa la strada per affrontare seriamente la situazione. «Infatti finora la risposta ai problemi è stata spesso solo lo sgombero, il grido “allontaniamoli”. Ma la vera questione non è salvaguardare lo spazio – continua suor Claudia -. Per noi il vero valore invece sono le persone, quella gente che comunque ha diritto di vivere. Certo, non quello a delinquere o a occupare. Noi non sosteniamo l’illegalità e nemmeno difendiamo l’occupazione abusiva. Noi invece siamo dalla parte della vita di queste persone, che sono in condizioni disastrose».
Si tratta di rom, richiedenti asilo, gente che arriva da situazioni di grande difficoltà, rumeni, ucraini, presenze del Nord Africa. «C’è chi dice che in questo modo vivono in Africa, in Romania o in Ucraina, senza acqua e senza luce e in mezzo ai topi – ricorda -. Non è accettabile nemmeno lì, figurarsi a Milano, che è capitale economica del Paese, dove la condizione di vita è di un altro livello. Sinceramente è ancora di più una botta allo stomaco. Allora ci possiamo permettere di lasciare le cose così? No, credo che non si possa abbassare la guardia».
La Chiesa è a fianco della persona, del più debole, del reietto dalla società. È la sua missione da sempre. «Ma spesso chi sta dalla parte di questi poveri viene attaccato perché mostra la propria indignazione. È estremamente importante che si ribadisca che tutto questo non è ammissibile. Non si può accettare che ci siano persone che vivano in queste condizioni, a Milano così come a Sesto San Giovanni».
Il fenomeno migratorio è strutturale, bisogna averne coscienza. «Già all’inizio degli anni Ottanta, con le prime avvisaglie, si diceva che con la globalizzazione si sarebbero spostate – oltre che le merci – anche le persone. Ma in tutto questo tempo non si è riusciti a mettere in atto politiche virtuose – sottolinea suor Claudia -. Oggi tutti gli studiosi a livello mondiale dicono che questo fenomeno dello spostamento di popolazioni è inarrestabile. Quindi bisogna mettere in moto risposte che non siano esclusivamente repressive, di difesa, di blocco, perché non funzionano. Quindi o tentiamo di dare risposte serie oppure vivremo una condizione peggiore, non solo per chi arriva, ma anche noi. Saremo in perenne emergenza, disagio e sofferenza».
Non sono belle parole di anime pie, come qualche cinico a oltranza può pensare. Ma la voce di chi da sempre cammina accanto agli ultimi. Occorrono risposte politiche adeguate, dando dignità a queste persone, avviando percorsi di integrazione, sostenendo il bisogno abitativo, inserendo i bambini a scuola, dando qualche chance agli adulti per lavori, che magari gli italiani ormai disprezzano. Occorrono tempi lunghi, ma se mai si comincia con decisione…
«Lo abbiamo già detto anni fa in uno dei nostri seminari: la sicurezza è nei servizi – precisa l’esponente della Caritas -. La vera sicurezza per tutti, per la città, per me cittadina di Milano, è sapere che esistono servizi a cui mi posso rivolgere e che diano risposte a me, ma anche a chi è in una situazione di difficoltà, anche se è clandestino». Perciò è necessario un coordinamento, perché il problema non è solo di Milano, ma anche della provincia, «come a Legnano con diverse occupazioni, a Busto o in paesi della Brianza. La gente si sposta, perché cerca di sistemarsi e trovare un po’ di tranquillità».
«Operiamo in via Triboniano nel villaggio rom, regolare, di quasi 600 persone. Bisognerebbe chiedersi come fare a migliorare questo posto, a far sì che questa gente possa andare a vivere nelle case e non qui», sottolinea Fiorenzo De Molli, della Casa della Carità. Ma c’è chi sta ancora peggio.
«Da noi, tra martedì e giovedì, sono venute a fare la doccia una sessantina di persone – racconta – che abitano in case abbandonate e in favelas e non hanno l’acqua per lavarsi. Immigrati (marocchini, rumeni, una donna svedese con problemi di droga), italiani che vivono nella zona della Stazione centrale. Ma anche 60enni italiani che ci chiedono ospitalità. C’è gente in grande difficoltà. Esistono le favelas, ma anche tante persone disperate che non si notano».