02/10/2008
di Rosangela VEGETTI
“La missione nel mondo delle metropoli”: questo il titolo del primo incontro del ciclo promosso dal Pontificio Istituto Missioni Estere e dalla Diocesi ambrosiana per l’ottobre missionario sulla scia dell’Anno paolino, svoltosi ieri al Centro Pime di Milano. Uno squarcio su un panorama che ancora non siamo abituati a pensare, quello proposto dalla testimonianza di monsignor Joseph Buti Thlagale, arcivescovo di Johannesburg (Sudafrica) e presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali dell’Africa australe.
Oltre la secolarizzazione, il dialogo tra le religioni, la diffusa confusione di fedi e confessioni, un dato sociale travolge le consuete visioni della distribuzione delle popolazioni sulla terra: il mondo di domani, già tra una decina d’anni, sarà concentrato in grandi territori metropolitani e nelle campagne ci vivrà solo una minoranza. E queste vaste metropoli si troveranno in Asia (Tokyo, Bombay, Delhi, Dacca, Singapore,Seul, ecc), in America Latina (Città del Messico, San Paolo) e in Africa (Lagos, Johannesburg), mentre il mondo europeo rimarrà arretrato.
Ma con lo spopolamento delle campagne non si avranno solo nuovi problemi di produzione alimentare e di distribuzione di beni, ma anche un affollamento delle baraccopoli che già attualmente accolgono oltre un miliardo di persone nel mondo. Con un disagio sociale sempre più diffuso, cresceranno povertà, criminalità, insicurezza e odio razziale, a colpire le fasce più deboli ed emarginate. A questi bisogni e attese delle popolazioni, non corrisponde una classe politica consapevole e responsabile, ma un sistema di corruzione volto a soddisfare interessi particolari di gruppi, partiti e individui.
Nel contesto di una società come quella sudafricana, che monsignor Thlagale ha definito «malata» malgrado gli sforzi di chi, come Nelson Mandela, l’ha portata alla democrazia, la Chiesa è chiamata a essere profetica, a indicare e testimoniare i grandi valori evangelici di giustizia, di rispetto delle persone, di difesa della vita, sempre più violati e sradicati dalle coscienze.
Solo una nuova dimensione spirituale può dare speranza a tanta gente lasciata ai margini della società e ridare valore al grande sogno di un umanesimo africano capace di unire i diversi e di costruire un futuro per i tanti giovani che vedono davanti a sé il fallimento di ogni aspettativa di progresso.
«La gente è frustrata dalla mancanza di servizi, da un processo politico senza risultati, dal vedere che i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi – ha detto monsignor Thlagale -: tutto questo porta a individuare il nemico nello straniero e nell’immigrato, che da noi viene prevalentemente dai Paesi limitrofi». Eppure Gesù Cristo è al centro della storia anche nel cuore dell’Africa e chiama tutti a promuovere valori e speranza, a prendere sul serio l’umanità ferita.
Lo stupore del pubblico presente stava proprio nelle somiglianze tra la realtà vissuta in Sudafrica e quella di casa nostra, ben tracciato nei suoi caratteri fondamentali da monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo ambrosiano e vicario diocesano per la cultura, che ha sottolineato come l’attuale epoca post-moderna non solo ci porta problemi complessi e ansiogeni, ma ci allontana dalla dimensione spirituale e di solidarietà sociale.
L’esasperata attenzione a se stessi, ai propri bisogni e aspettative, ai propri interessi particolari, al fine della propria armonia, piuttosto che al conseguimento di valori duraturi, porta a ridurre la domanda di speranza e di senso di sé a una semplice richiesta di servizi sociali e di misure di sicurezza contro vere e presunte minacce di sicurezza. Anche San Paolo aveva conosciuto i grandi problemi delle città del suo tempo e con forza ne aveva indicato i pericoli e le vie di rinascita. A noi oggi seguirne la via.