21/07/2008
di Filippo MAGNI
Valeria, 31 anni, insegnante sarda, è stata assegnata a una scuola elementare di Milano: sono stati necessari più di 3 mesi perché trovasse un’appartamento alla sua portata. Alina, badante ucraina di 45 anni, trascorre intere settimane senza una casa, nell’attesa di un paziente quando il precedente scompare. Il marito della signora Maria, milanese settantacinquenne, è stato ricoverato in un centro di riabilitazione in Brianza: i 60 chilometri che separano la sua casa dalla clinica sono troppi per essere percorsi dalla donna tutti i giorni, alla sua età.
Le generalità di queste persone sono di fantasia, per giusti motivi di riservatezza, ma vere sono le storie che le caratterizzano. Storie che hanno trovato una soluzione ai loro problemi presso l’onlus “Casa Maria Immacolata” di Carate Brianza, centro di ospitalità temporanea attivo dall’ottobre del 2005. «Nei due anni e mezzo dall’inaugurazione – spiega Stefano Meregalli, responsabile della Casa – sono passate da noi 100 donne, tutte in situazione di emergenza abitativa».
La struttura parrocchiale (300 euro al mese il costo per le ospiti) è gestita da un gruppo di quattro laici e seguita quotidianamente da tre suore di carità della Santa Croce. «Abbiamo a disposizione 15 camere per un totale di 18 posti letto – spiegano -. Abbiamo scelto volontariamente di mantenere una struttura agile, semplice e leggera, affinché bastassero pochi volontari per il buon funzionamento del centro».
Ma soprattutto perché si potessero rispettare i due capisaldi su cui lì si basa l’accoglienza: la libertà e la responsabilità. «Le donne che risiedono alla Casa Maria Immacolata – racconta una delle suore responsabili della struttura – si trovano molto bene, perché si sentono a casa loro. Noi infatti lasciamo la massima indipendenza, diamo loro le chiavi per entrare e uscire a piacere».
Spetta alle ospiti scegliere anche se partecipare o meno alle iniziative della parrocchia e delle religiose: da quel punto di vista niente è obbligatorio. Prosegue: «In cambio di questa fiducia chiediamo alle donne di essere responsabili degli ambienti in cui vivono: tenendoli in ordine, gestendoli con attenzione, come se fossero di loro proprietà».
Un equilibrio, tra indipendenza e ordine, non semplice da raggiungere, che è però stato conseguito grazie a colloqui preventivi che valutano se la struttura è adatta o meno all’ospite. Impossibile generalizzare, ogni persona fa storia a sé: «Nella Casa Maria Immacolata sono passate studentesse, donne che per qualche mese era meglio stessero lontane dalla famiglia, straniere (tutte regolari) in attesa di trovare una sistemazione definitiva, maestre emigrate dal centro e sud Italia, mamme e sorelle dei pazienti della clinica riabilitativa per ex comatosi di Carate, restauratrici, infermiere del San Gerardo di Monza, persone sfrattate senza preavviso».
Gianfranco Zinzani, fondatore della Casa insieme a Dino Sirtori e Gianmario Colombo, precisa che alla Maria Immacolata «non risiedono i diseredati, i poveri in senso stretto, ma coloro i quali temporaneamente non possono permettersi un affitto a prezzi di mercato». Persone normali, dunque, «i cui stipendi non reggono il costo della vita e le impennate del mercato immobiliare».
Nella Lettera pastorale da poco pubblicata, il cardinale Tettamanzi ha chiesto che non solo le istituzioni, ma anche le parrocchie e i fedeli si facciano carico dell’emergenza abitativa. «Leggerlo ci ha fatto molto piacere – prosegue Zinzani -. Conferma che anni fa, quando la parrocchia ha assunto l’onere gravoso di acquistare il monastero delle Canossiane alla partenza delle religiose, è stata fatta la scelta giusta. Quella di puntare su un problema sempre più diffuso, non solo tra gli immigrati e i poveri, ma tra le fasce più deboli della popolazione: i giovani, le donne, gli anziani».
La Casa Maria Immacolata, stranamente, non ha mai ospitato caratesi. «In città – spiega il parroco don Giampiero Magni – la struttura è poco conosciuta, probabilmente per la sua giovane età. Ma è un segnale importante per tutti i fedeli, dice a chiare lettere che gli affitti possono essere gestiti al di fuori delle logiche del profitto e che l’emergenza casa può essere gestita, anziché con logiche commerciali, con spirito di accoglienza e solidarietà».