«Milano è una realtà in cui si vede la ricchezza, l’eterogeneità delle forme e delle relazioni sociali. Parlare della famiglia, conoscere il suo valore proprio perché fa vedere quanto è ricchezza, deve aiutare anche a mettere l’attenzione su chi è in difficoltà, chi si trova in situazioni di disagio e su chi famiglia non è, sulla tanta solitudine che c’è. Puntare i riflettori sulla famiglia non deve far dimenticare chi è fuori. C’è tanta solitudine nella metropoli». Rosangela Lodigiani, sociologa dell’Università cattolica, cura da qualche anno il Rapporto sulla città della Fondazione Ambrosianeum. E da quell’importante osservatorio riflette sulla famiglia, perno fondamentale della società, ma che va sostenuta sempre più, soprattutto in questa stagione di crisi economica.
Secondo una recente ricerca del Censis per il 65% degli italiani al primo posto c’è la famiglia, vissuta anche con soddisfazione. Un dato in controtendenza rispetto ai luoghi comuni della famiglia in crisi?
Rispetto ai luoghi comuni senz’altro sembra andare controcorrente. Ma è anche vero che le indagini sui valori degli italiani da sempre hanno indicato questo primato, comprese quelle fatte ai giovani. È il riconoscimento di un ruolo importante che la famiglia gioca da un punto di vista affettivo e relazionale – naturalmente -, ma anche di un luogo che diventa sempre più importante in termini di sicurezza, di protezione, a maggior ragione in questo momento di crisi. Anche i dati dell’Istat hanno evidenziato che la disoccupazione giovanile ha colpito soprattutto chi vive ancora in famiglia e per questo non ha avuto un riscontro altrettanto allarmante sul piano sociale, è stato contenuto nei suoi effetti.
Quindi la famiglia continua a funzionare come ammortizzatore sociale?
Esatto. Se in famiglia uno dei due coniugi perde il lavoro, è l’altro che supporta il reddito. Poi c’è la rete delle solidarietà familiari e parentali. Quindi è un soggetto di risorse e lo è ancor di più in questa fase di difficoltà, dove gli altri sistemi di protezione sono in crisi e anzi sembrano destinati ad esserlo maggiormente con i tagli delle risorse. C’è però un rovescio della medaglia.
In che senso?
Nel senso che è tanto più risorsa per chi una famiglia ce l’ha e ben funzionante, è tanto più penalizzante non averla alle spalle. Chi è solo, chi è in reti familiari deboli, chi vive in famiglie in difficoltà o che si spezzano, subisce ancor di più gli effetti della crisi, non potendo contare su altre risorse. Per altro verso si sta sovraccaricando la famiglia, perché essere uno dei principali ammortizzatori sociali significa che su essa si riversano molte attese e compiti. Quindi vive in una situazione di stress che sicuramente non fa bene alla famiglia, che ha bisogno di essere supportata. Tra l’altro le risorse economiche, tanto importanti in questa fase, non sono infinite, e i dati evidenziano stagnazione dei redditi, calo della capacità di acquisto, erosione dei risparmi.
La famiglia a Milano è ancora anima della città, cellula fondamentale?
Sì, anche in una realtà come Milano è elemento portate del tessuto cittadino. Pensiamo al “successo” di un’iniziativa come il Fondo Famiglia-Lavoro, ci dice che la famiglia è in difficoltà, ma che porta le sue domande alla cittadinanza e questa risponde, perché la solidarietà è stata tanta.
Com’è possibile conciliare il tempo del lavoro e la famiglia?
Uno dei temi nodali delle politiche sociali oggi è proprio quello di supportare la conciliazione famiglia-lavoro. Questo vuol dire che la famiglia esprime questo bisogno, perché vuole essere un soggetto importante che continua ad avere un ruolo centrale nella costruzione del tessuto sociale e del benessere cittadino. Perciò ha necessità di essere messa nelle condizioni di poter portare a compimento i propri progetti, a partire da quelli genitoriali o di cura dei propri membri più anziani. Dobbiamo sempre tenere presente che sta molto cambiando la struttura della famiglia e delle reti parentali che diventano più strette e più lunghe: ci sono meno famiglie con tanti zii e fratelli e di più che vivono nel contempo la presenza di quattro generazioni, dai nipotini appena arrivati ai bisnonni, quindi con bisogni di cura e di conciliazione molto eterogenei che accompagnano il corso di vita della famiglia. Spesso si guarda alla conciliazione considerando soltanto la questione dei bambini piccoli, è il tema che fa un po’ più presa, come se i bambini una volta che sono diventati di cinque-sette anni crescono da soli. Non è così, hanno bisogno di essere accompagnati, anzi forse i bisogni di conciliazione diventano ancora più importanti, perché seguire gli adolescenti è assolutamente un compito cruciale.
Quale significato e senso ha allora il lavoro?
Una città del fare come Milano, deve stare attenta a non ammalarsi di lavorismo (quando il lavoro c’è ovviamente) e trovare il modo di sostenere un’armonizzazione tra lavoro e vita, tra lavoro e famiglia, evitando che si definiscano rapporti antagonistici tra queste sfere fondamentali per la realizzazione delle persone. In una cornice di questo tipo anche la "festa" può trovare il suo giusto spazio. Poter conciliare famiglia e lavoro è anche questo: non è solo una domanda di servizi, ma anche di senso. Pure le imprese possono dare il loro contributo, nel ripensare le forme e i tempi dell’organizzazione del lavoro e il suo senso.
Uno dei nodi fondamentali è la scarsa natalità. Come si può aiutare a invertire la tendenza?
Rispetto alla natalità, Milano presenta dati significativi: è più anziana rispetto al resto della regione, ma anche del Paese. Il tasso di fecondità è di 1,4 figli per donna, mentre in Lombardia è un po’ più alto (1,5). Quindi c’è un duplice problema. Da una parte la difficoltà dei giovani di restare a Milano e di metter su famiglia (la questione della casa è centrale). Dall’altra il potenziamento dei servizi di sostegno alle responsabilità familiari, a partire dai servizi di cura, che consentano alle famiglie di contemplare al meglio vita di lavoro e responsabilità familiari. Si sta lavorando nel ridefinire i tempi della città: queste politiche possono aiutare alla ripresa della natalità, altrimenti diventa davvero difficile. Basta vedere quello che succede anche tra gli immigrati dove si registrano tassi di fecondità più alti (2,2 figli per donna), ma non rispetto al dato lombardo (oltre 2,6). Anche gli stranieri a Milano fanno meno figli che nel resto della regione.
Quanto è importante il ruolo del non profit per la famiglia?
Il non profit da sempre è un sistema di supporto alle famiglie, perché è erogatore di servizi di cura, sempre di più nel contesto lombardo dove la legislazione ha sostenuto in questi anni il suo sviluppo. Ma è anche il luogo in cui emerge l’associazionismo familiare, di promozione sociale e di solidarietà. È una realtà significativa in una città come Milano: la famiglia riesce anche a diventare protagonista di risposte mettendosi insieme. Questo nel futuro è destinato a crescere: il ruolo di tutti i cittadini singoli, ma anche associati, porterà importanti forme di mutuo-aiuto.