«Date un nome a ciò che vedete, non vivete con indifferenza, perché le persone si aspettano di essere nominate. Non fate che la comunicazione sia un ordine di servizio, che si riduca alla banalità utilitaristica, che si perda nelle chiacchiere. Scrivete poesie, qualcosa di voi in vista di una comunione spirituale. La città non cresce perché abbiamo degli interessi in comune – o non solo per questo -, ma perché impariamo a parlarci rendendoci migliori».
Negli spazi belli in tutti i sensi, concreti e ideali del Refettorio Ambrosiano, nutriti di solidarietà e arte, si svolge l’inaugurazione della terza edizione di “Milano Food City”, eredità di Expo 2015 e che, dal 3 al 9 maggio, vedrà una notevolissima serie di eventi.
Si parla, ovviamente, di cibo, ma non solo, come è evidente nella scelta di esporre al pubblico, appunto preso il Refettorio, un’opera bellissima e significativa, “Mani per il pane”, dell’artista bosniaco fuggito, durante la guerra nei Balcani degli anni ’90, Safet Zec, che non ha voluto mancare.
«Non potete immaginare cosa rappresentassero, a Sarajevo, una cipolla o una patata», dice con evidente dolore.
«Non si nutre la persona solo con il cibo, ma anche con la bellezza, per questo è nato il Refettorio Ambrosiano. Abbiamo raccolto l’appello di papa Francesco», evidenzia, presentando l’evento cui partecipano l’Arcivescovo e il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana.
Di fronte a 800 milioni di persone che nel mondo sono alla fame, la lotta allo spreco, insomma, e la sensibilizzazione sono diventate priorità. Infatti, come spiega l’assessore Cristina Tajani, sono 3 le anime di “Milano Food City”: «una scientifico-culturale, una di natura più commerciale e l’anima che sta più a cuore, l’anima solidale».
«L’uomo ha trasformato le cose in parole, in messaggi che dicono qualcosa a chi vede e ascolta. Questo ha fatto sì che il cibo, il pane, l’acqua, la casa, non siano sono solo etichette per denominare oggetti, ma parlino, suscitando emozioni o indifferenza. Un luogo come il Refettorio dice che c’è cibo, calore, accoglienza», sottolinea l’Arcivescovo.
«Questo chiama alla responsabilità di essere in relazione, non solo per ricevere, ma anche per dare. Così si può arrivare alla poesia, per cui la realtà diventa una comunione spirituale con la comunicazione poetica. La poesia è il modo più alto con cui si dà nome alle cose. Ma, talvolta, nella storia umana è successo che le parole, invece che aiutare ad intendersi, abbiano rivelato il loro limite. Per questo c’è bisogno dell’arte, come della musica, per andare oltre la babilonia della confusione. La presenza di questa opera e del suo artista ci aiutano a vivere questa settimana con la logica del messaggio comunicabile a tutti: ciò che viene detto è una fame segnata dal sangue, una povertà che diventa grido, un nutrirsi che può divenire morire. Questo dice che la storia umana è un a vicenda di poesia e di sangue, di bellezza e di distruzione».
La domanda che ne nasce è quella che il vescovo Mario suggerisce: «Quale tipo di mondo vogliamo costruire? Quale storia scrivere? Come interpretare il creato in cui siamo immersi? Lo spreco è come una ferita nella destinazione universale dei beni, così come l’accumulo, è un furto quando sottrae agli altri quello di cui hanno bisogno. Il ricatto di chi dice “ti dò da mangiare se, però, pensi come me e ti iscrivi al mio stesso partito; ti dò lavoro se ti pieghi alle leggi decise da me”, è un offesa che non possiamo ammettere».
Da qui, l’appello: «Lasciatevi trafiggere il cuore dall’arte, almeno da questa opera che dice di un dramma determinato nel luogo e nel tempo e, tuttavia, di un valore universale. Questo quadro ispirato a Sarajevo non parla unicamente di anni passati, ma anche della possibilità che il pane sia bagnato dal sangue. Lasciatevi trafiggere il cuore per seminare pace, per distribuire una speranza all’umanità».
Anche il sindaco Sala non ha dubbi: il Refettorio Ambrosiano nato con Expo, «è un luogo straordinario e lo capisce già prima di entrare con la scritta al neon che campeggia all’esterno e che recita che non è c’è più tempo per le scuse. È una presa di responsabilità. La scelta di essere qui, è precisa. In questo senso, la differenza tra Milano e la maggior parte delle altre città è proprio il prendersi le proprie responsabilità a pieno, non solo come Amministrazione, ma da parte di tanti cittadini. Non avrebbe avuto senso se Expo se si fosse conclusa in 6 mesi».
Poi, un commento sui dati, presentati per l’occasione da Caritas, relativi ala povertà alimentare. «Il nostro sforzo per tenere in ordine i conti del Comune è anche nella consapevolezza che questa è una città che sta crescendo esponenzialmente e aumenta, quindi, il numero della gente che qui cerca opportunità. Non esiste un’unica ricetta, ma una profonda volontà di armonizzare le due velocità della metropoli. Se, alla fine del mio mandato, non avrò fatto questo sarò uno sconfitto. Ci stiamo impegnando tanto e credo che delle vie le troveremo. Sullo spreco, abbiamo varato uno sgravio fiscale – ammonta a totale di 1 milione di euro – per gli esercizi commerciali che ci dimostrano di portare le loro eccedenze, a fine giornata, a realtà che ne hanno bisogno. Poi, c’è il dialogo con la grande distribuzione e la sensibilizzazione dal punto di vista educativo nelle scuole».
Parole condivise dal vescovo Mario che aggiunge: «Lo spreco alimentare è una forma di stupidità, di indifferenza e di superficialità. Un sistema produttivo che mette nel conto lo sperpero va corretto. L’organizzazione della città non è un algoritmo, è una scelta di libertà e la libertà è lo spazio per la cultura Il contrasto alle sperequazioni, da un lato allo sperpero e dall’altro al bisogno, la difficoltà a congiungersi tra l’eccesso di cibo disponibile e l’assenza di cibo necessario, è un tema da affrontare in modo culturale. Ottimi e incoraggianti percorsi, a tale fine, sono il Refettorio Ambrosiano e altre mense presenti in città. Il modo per aiutare non può essere l’elemosina, ma un dare che aiuta il destinatario a diventare a sua volta donatore.
L’Arcivescovo cita, così, espressamente, la persona disoccupata e in difficoltà, aiutata dalla propria parrocchia con pacchi viveri che, intervenuto durante l’inaugurazione, racconta la sua esperienza: «Per me il pacco è fin troppo e lo offro ad altri amici che conosco”.
«Non si tratta di fare prediche o di protestare contro l’ingiustizia, ma di sentire la responsabilità: Tocca a noi costruire una città dove non ci sia una divaricazione tra l’eccesso e la mancanza del minimo necessario».