Sono passati trent’anni da quando il cardinale Carlo Maria Martini sollevava una delle prime denunce della corruzione. Era infatti il 6 marzo 1989 quando, aprendo la scuola di formazione sociale e politica della diocesi, l’Arcivescovo di Milano si chiedeva: «Esiste in Italia la corruzione politica?». I dati che aveva a disposizione delineavano la natura subdola di questo reato di scambio: pochi mesi prima il Censis aveva classificato un numero di denunce tutto sommato ristretto, un migliaio in tutta Italia, stimando però il coinvolgimento di circa 100 mila persone e un danno per le casse pubbliche tra i 10 e i 12 mila miliardi di lire.
Trent’anni più tardi la domanda sembra quasi superflua, il luogo comune è addirittura che sia la politica a essere tutta corrotta. Una percezione fotografata dal sondaggio sulla percezione della presenza mafiosa e della corruzione condotto in questi mesi da Libera, l’associazione fondata da don Luigi Ciotti che si batte per il contrasto alle mafie e per la tutela della legalità. In Lombardia il 78% degli intervistati ritiene che la corruzione sia un fenomeno molto o abbastanza diffuso sul territorio, mentre un lombardo su quattro (il 26%) dichiara di conoscere qualcuno coinvolto in attività corruttive. Più sfumata, ma comunque significativa, è la percezione della presenza mafiosa, ritenuta un fenomeno preoccupante, ma non socialmente pericoloso.
È a partire da questo quadro che Libera ha chiamato i rappresentanti delle istituzioni cittadine a confrontarsi nel convegno che si terrà mercoledì 6 febbraio, alle 18, all’auditorium San Carlo (corso Matteotti 14, Milano), dal titolo «Corruzione: la via breve delle mafie». «Abbiamo invitato l’arcivescovo Delpini, il sindaco Sala, il procuratore generale di Milano Francesco Greco e lo stesso don Ciotti per il loro ruolo e per la carica di responsabilità che rappresentano – spiega Lorenzo Frigerio, responsabile di Libera Informazione, che ha condotto la ricerca -. A trent’anni di distanza le parole di Martini ci sembrano ancora molto attuali». In questi anni la consapevolezza del fenomeno è naturalmente cresciuta e la società civile non è certo stata a guardare. È recente la legge sul whistleblowing, per tutelare i dipendenti pubblici che denunciano casi di corruttela, con un’iniziativa nata proprio dalle associazioni e dalle amministrazioni locali. «Le inchieste della magistratura hanno portato a cambiamenti positivi – conferma Frigerio -, anche se siamo ancora lontani dal fare quello che diceva il cardinale Martini: rifiutando la logica della delega, rifiutando ogni logica che possa dividere, ma cercando quell’unità di intenti nel contrasto a mafia e corruzione che possono essere l’unica strada per battere questi fenomeni». Detto con le parole dello stesso Martini «è aiutando i cittadini a essere soggetto della politica con questa profonda persuasione etica, prima ancora di ogni adesione politica, che potremo suscitare un movimento di opinione capace di combattere in maniera seria e responsabile».
Un incoraggiamento necessario se, come mostrano ancora i dati del sondaggio di Libera, il 35% degli intervistati considera corrotto anche chi dovrebbe accogliere una denuncia e l’80% parla di paura delle conseguenze da parte di chi potrebbe o dovrebbe denunciare. Lo stesso cardinale Martini invitava del resto a conoscere a fondo il fenomeno, a evitare le generalizzazioni, a distinguere da una parte i casi di responsabilità individuale e a essere consapevoli, dall’altra, che alcune forme di corruzione «possono assumere addirittura la figura di una immoralità istituzionalizzata». Martini invitava dunque a seguire «i principi evangelici della chiarezza, della radicalità, del guardare al fondo dei problemi della società, con desiderio di conversione, ma insieme con grande coraggio e fiducia, perché – spiegava – c’è una salvezza non solo per il peccato individuale, ma anche per tutte le strutture di peccato nelle quali l’umanità è implicata». Parole che Frigerio ribadisce in vista dell’appuntamento di mercoledì: «Serve conoscere il meccanismo della corruzione. Non vogliamo creare allarmismi, ma far sì che ci sia un’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini».