Francesca, in due mesi, ha tentato il suicidio più volte. Luca, Jenny e Davide sono stati ricoverati in ospedale, contemporaneamente, per atti di autolesionismo. Nel quartiere Gallaratese di Milano, alla comunità di neuropsichiatria per minori Pani e Peschi – struttura riabilitativa terapeutica gestita dalla cooperativa Filo di Arianna del Consorzio Farsi Prossimo, che può ospitare una decina di ragazzi, maschi e femmine, tra i 14 e i 17 anni – negli ultimi mesi raccontano che gli adolescenti che arrivano ai servizi hanno sofferenze e disturbi sempre più gravi e pesanti, e nelle comunità di neuropsichiatria il lavoro è sempre più complesso.
C’è, in generale, una fatica crescente nelle comunità di accoglienza e nei servizi educativi in Italia, ormai conclamata: da mesi si denuncia la carenza di educatori e parallelamente il taglio dei fondi pubblici necessari per garantire il servizio. Ancora più preoccupante è la situazione nelle comunità che accolgono minori e ragazzi con disagio psichico, dove diversi sono i problemi che stanno rendendo complicato il lavoro e il servizio offerto.
Salute mentale: situazioni sempre più gravi
Ultimamente in comunità riscontrano un aumento dei tentati suicidi. E non si tratta di atti teatrali di richiesta di attenzione, o gesti di autolesionismo, che pure ci sono e sono altra cosa. È una situazione complessa da gestire, anche dal punto di vista pratico.
Francesca, negli ultimi due mesi, ha tentato il suicidio diverse volte, cercando di strangolarsi o soffocarsi. «Succede sempre in momenti inaspettati, magari è stata una giornata con diverse attività fatte insieme, l’abbiamo accompagnata all’attività di volontariato, al centro di aggregazione giovanile, e poi nel tempo breve di un cambio turno e del passaggio di consegne, la si ritrova con un cordino al collo, reperito chissà dove», racconta Anna Carretta, coordinatrice della comunità Pani e Peschi. Ogni volta, la ragazzina è stata ricoverata in ospedale. «Ma in pediatria, perché minorenne: non in un reparto di neuropsichiatria infantile, per carenza di posti letto, e nemmeno in un reparto di psichiatria per adulti, che invece rischierebbe di essere inappropriato – racconta Carretta -. Di fatto sono stati quattro ricoveri inutili, perché in pediatria non possono lavorare su queste patologie. Recentemente, in un solo week-end, abbiamo avuto ricoverati tre ragazzi a seguito di atti di autolesionismo: due si sono procurati tagli, uno ha ingurgitato del sapone. Non raccontiamo queste storie per fare sensazionalismo, ma per spiegare come ragazzini con situazioni sempre più gravi e servizi che gestiscono un tasso tanto alto di instabilità richiederebbero molto più personale, non sostenibile con le attuali rette, e meccanismi organizzativi più flessibili, non consentiti dalla normativa di accreditamento».
«Per Francesca, durante i ricoveri, abbiamo garantito operatori a fianco h24, riorganizzando in emergenza i turni del personale della struttura e di altri centri della cooperativa. Le procedure ospedaliere richiedono la garanzia di presenza di un adulto per tutto il tempo di ricovero di un minore e non sempre possono essere coinvolti i genitori. Non solo, non essendo in quei giorni il ragazzo presente in comunità, non viene corrisposta la retta da Ats. Quindi il personale dedicato al ricovero resta completamente a carico dell’ente gestore, spesso dovendo fare anche orari prolungati. È un cortocircuito».
Difficile reperire educatori
Recentemente il Terzo Settore lombardo ha denunciato la carenza di educatori e altri professionisti del sociale e del sanitario, sempre più stremati da un lavoro faticoso e poco riconosciuto, anche economicamente (leggi qui). La situazione è ancora più evidente nelle comunità dove ogni giorno si devono gestire situazioni dolorose, angoscianti, con la paura continua che, quella volta, non si riesca a evitare il peggio.
«Gli educatori, gli operatori della comunità vivono un significativo e costante carico emotivo. Noi abbiamo regolare supervisione psicologica, ci confrontiamo quotidianamente con i clinici di riferimento, ma gli operatori ora stanno chiedendo un ulteriore supporto psicologico – continua Carretta -. Noi adottiamo tutte le precauzioni possibili, tutte le attenzioni, oltre a dotarci come doveroso di protocolli di prevenzione dei rischi e di gestione delle emergenze e a fare formazione continua; cerchiamo di supportare i ragazzi nella loro angoscia, lavoriamo anche molto con le famiglie per ottenere collaborazione e proteggere da relazioni disfunzionali, ma le cose succedono nonostante le precauzioni e i progressi che comunque si raggiungono. E allora negli operatori subentra il senso di impotenza, che ha un impatto emotivo fortissimo».
Servizi costosi, istituzioni latitanti
Il terzo tema è quello economico. Il lavoro di cura è di fatto delegato al Terzo settore, ma a fronte delle sempre crescenti richieste, in termini di numeri e di complessità, e dell’aumento dei costi, le istituzioni non garantiscono un equo riconoscimento delle prestazioni erogate e un funzionale adeguamento del sistema normativo.
«Consideriamo tutte le spese che un normale ragazzo ha, dall’abbigliamento, ai libri e tasse di scuola, alle iscrizioni ai corsi per il tempo libero o per le proprie passioni, il parrucchiere, i mezzi per spostarsi… quelle cose che servono per garantire ai ragazzi degli aspetti di normalità e gli stessi diritti dei loro coetanei. Tutto questo noi continuiamo a garantirlo, anche quando le famiglie non possono contribuire o gli enti locali negano la compartecipazione, perché per noi accogliere un adolescente implica occuparsi del suo benessere in generale, realizzare un progetto di cura e riabilitativo nel senso più ampio, non strettamente prestazionale/specialistico e di tutela in merito ai bisogni clinici, ma fortemente integrato con le dimensioni sociali ed educative. Abbiamo più volte portato questi temi in Regione e al Comune di Milano, sia come tavolo di coordinamento dei gestori di strutture della neuropsichiatria, sia attraverso le nostre organizzazioni di rappresentanza. Ci è sempre stata concessa una disponibilità al confronto, ma a oggi non si sono concretizzati risultati. Ci sono colleghi che hanno detto: se continua così, chiudiamo. Non è un ricatto: è una richiesta di aiuto».