«Questa visita, nella sua forma semplice, è prima di tutto per dire l’alleanza tra la Chiesa di Milano e un certo mondo di lavorare e far lavorare. Per la sensibilità ecclesiale non tutti i modi di organizzare il lavoro sono simpatici, per esempio non lo è dove la finanza finisce per essere padrona del lavoro. La dimensione vorace della finanza, specie quella anonima che produce profitti stratosferici senza guardare in faccia chi lavora, non piace alla Chiesa, che pure non intende demonizzare la finanza stessa. Siamo qui, alla vigilia del 1° maggio, per dire, invece, una simpatia per il mondo delle cooperative, per i suoi motivi ispiratori, come la centralità del lavoratore e il profitto della produzione in funzione della persona perché ciascuno possa portare a case il pane quotidiano».
Aprendo l’intensa mattinata in cui proseguono le sue visite in vista della Festa dei lavoratori, a dire parole di amicizia e di grande simpatia per il mondo della cooperazione sociale, è l’Arcivescovo che varca la soglia della sede di Confcooperative Lombardia. Accolto dal presidente Massimo Minnelli, da altre cariche dell’associazione, dall’assistente nazionale di Confcooperative don Mario Diana, monsignor Delpini, accompagnato dal responsabile del Servizio per la Pastorale del Lavoro e sociale don Nazario Costante, ascolta alcune testimonianze durante l’incontro che si avvia con l’intervento del presidente Minnelli. È lui a ricordare il fondatore di Confcooperative don Luigi Sturzo.
«Europeisti per la pace»
«Confcooperative Lombardia rappresenta oggi 2.319 cooperative attive in tutti i settori produttivi. Con un fatturato di 10 miliardi di euro, queste coinvolgono direttamente 103 mila lavoratori, di cui il 47% donne, e 534 mila soci, rappresentando il 43,4% del volume d’affari totale della cooperazione lombarda. Una forza dinamica che crea un impatto tangibile, come dimostrano anche i numeri: 2/3 dei servizi alla disabilità sono gestiti da cooperative, oltre 6.000 persone con svantaggio sono assunte in cooperative sociali d’inserimento lavorativo. In ambito agroalimentare, in Lombardia, il 70% del latte è prodotto in cooperativa e il 50% di Grana Padano Dop», sottolinea Minnelli che richiama l’impegno per la pace e in ambito europeo, anche in vista delle prossime elezioni. «Siamo europeisti perché crediamo nella cooperazione tra i popoli e nella pace e non è un caso che proprio a questo fine, stiamo facendo tutti uno sforzo».
Le testimonianze
Poi, le tre testimonianze. Carolina Beretta della Cooperativa Patrolline – azienda cooperativa di Albavilla, partita con 9 soci e che, dopo un periodo di crisi, oggi ne conta 18 – racconta la sua esperienza a nome dei colleghi. Claudio Cazzanelli di A&I-Accoglienza e Integrazione (realtà attiva in carcere) dice: «Da 25 anni sono un cooperatore sociale. Offriamo supporto educativo, progetti che hanno al centro la relazione di aiuto, percorsi ad hoc, personalizzati, di formazione e reinserimento al lavoro, housing, centri diurni che si occupano delle persone che hanno problematiche di disagio mentale e mediazione familiare, portiamo i nostri operatori nei penitenziari per fare rete. Cosa vorremmo? Che la società fosse più accogliente, una giustizia sempre più legata ai concetti di riparazione e che vi fosse maggiore riconoscimento per il nostro lavoro, come soggetti proponenti progetti, e politiche meno “carcerogene”».
Da parte sua Chiara Pennasi, direttrice di Fondazione Triulza e parte di Fondazione Grana Padano – nata nel 2022 per volontà del Consorzio di tutela del prodotto, in rappresentanza di 40 mila occupati – con sede nell’abbazia di Chiaravalle, parla di tante iniziative di supporto del territorio, dell’Abbazia stessa, per aiutare i giovani negli studi. Insomma, una realtà in rete e virtuosa come Cascina Triulza, tra i promotori e soci fondatori di area Mind.
Don Mario Diana evidenzia i cammini di dialogo tra Confcooperative e la Cei, «non per uno scopo politico, o un intreccio di interessi, ma per un percorso di riscoperta e rivitalizzazione dei valori portanti dei fondatori e che devono diventare non medaglie al merito, ma scelte concrete». Due i percorsi privilegiati: quello verso la 50esima Settimana sociale dei Cattolici italiani di Trieste e l’azione con la Fondazione pontificia “Fratelli tutti” «che vuole dare gambe e cuore al pronunciamento papale».
L’intervento dell’Arcivescovo
«Il tema della centralità della persona andrebbe meglio collocato storicamente nella Dottrina sociale della Chiesa – nota monsignor Delpini -, precisando che tale centralità non significa l’egoismo dell’individuo o l’ossessione di garantire i diritti individuali, indebolendo i legami sociali. La persona, per noi, è sempre in una relazione, in una rete di legami familiari e sociali».
E subito arriva anche un altro ambito di impegno: «Occorre offrire lavoro a chi non è capace di competere facilmente, magari perché non ha un curriculum corretto o perché è disabile. Pensiamo al carcere, che potrebbe essere una risorsa perché al suo interno ci sono persone che possono fare tante cose, e avrebbero voglia di farlo, ma non riescono ad avere gli strumenti. In questo contesto mi sembra opportuno incoraggiare la consapevolezza di essere piccoli – anche se voi non lo siete molto – che pone lo strumento cooperativo in una condizione di sfidare i grandi, non in modo velleitario, ma puntando sull’eccellenza. Vi raccomando l’eccellenza, la cooperazione, la dimensione internazionale e la condivisione europea per arrivare a una proposta a livello continentale. Anche perché – confida l’Arcivescovo – talvolta ho la percezione che gli organismi centrali dell’Ue non capiscano alcuni modi di produzione italiani. L’Europa deve sapere che c’è un modo di produrre, lavorare e cooperare che è legittimo ed è per il bene comune».
«C’è, poi, un compito di resistenza alla prepotenza dei grandi. Mi pare che dentro l’anima delle cooperative debba esservi un coraggio per resistere, intuendo una via da percorrere per non lasciarsi schiacciare, senza cercare solo il compromesso per sopravvivere, ma recuperando lo slancio per un mondo in cui sia desiderabile vivere. Per questo dobbiamo molto studiare, immaginare, accettare il dono che ci viene dallo Spirito».
La visita all’Atm
La mattinata prosegue con la visita allo storico deposito dell’Atm in via Teodosio, dove monsignor Delpini viene accolto dalla presidente Gioia Maria Ghezzi, dai vertici dell’azienda e da un centinaio di lavoratori dei diversi comparti.
Dopo la lettura di brani tratti dalla Laudato si’ e dal secondo capito della Genesi, la riflessione dell’Arcivescovo – proposta nel grande capannone, tra tram in riparazione e macchinari, ma ai piedi dell’altrettanto storica statua della Madonna -, torna sui temi-cardine di un lavoro che, a contatto con il pubblico, può essere molto complesso, come confermano non pochi dipendenti.
«Che fare quando ci sono giovani maleducati che insultano, magari, anche chi guida i mezzi o quando un cittadino distratto parcheggia dove deve passare il tram o il bus? Che fare quando lo stipendio non consente di vivere a Milano, e si è costretti a fare il pendolare tra casa e luogo di lavoro? Io sono qui per dire una vicinanza, una comprensione per un lavoro che ha le sue specifiche difficoltà. È bello fare bene il lavoro e far parte di una comunità come l’Atm, che è utile e necessaria ai cittadini. Ogni lavoro ha le sue difficoltà e so che il rapporto con il pubblico può diventare esasperante. Io sono qui per augurare buon 1° maggio, ma anche per invitare tutti a riflettere sulla sostenibilità ambientale e sociale», aggiunge l’Arcivescovo.
«La visione che Dio ha della terra, dell’uomo, del lavoro, ha posto l’uomo e la donna nel giardino perché lo custodissero. Siamo in una società complessa, ma noi continuiamo a essere le persone di cui il Signore si fida per coltivare quel giardino che anche la città può diventare se la rendiamo un luogo in cui sia desiderabile abitare. Questi non sono sogni o fantasie. Siamo uomini e donne che sanno di essere capaci di mettere mano al mondo per renderlo migliore. Il mio augurio è che ci sia questa fierezza nell’avere il gusto, l’intelligenza e l’intraprendenza per dire che vale la pena vivere su questa terra, confrontandosi anche tra parti sociali che stanno da parti diverse».
«È bello che istituzioni religiose e civili, come è sicuramente l’Atm, si trovino insieme – spiega la presidente dell’Azienda Trasporti milanesi -. Qui, da quasi un secolo, in “Teodosio” – così tutti chiamano semplicemente il deposito – si riparano i nostri mezzi. Abbiamo 10 mila persone che lavorano quotidianamente per far funzionare la città, siamo un’azienda che investe nella mobilità e che, in questo senso, permette a Milano di funzionare in maniera sostenibile. Siamo orgogliosi di investire in sostenibilità ambientale perché abbiamo rispetto per la natura cercando di intaccarla il meno possibile. Promuoviamo le energie rinnovabili e, nel 2030, tutti i mezzi saranno elettrici.
«Ma la parola rinnovabile – continua Ghezzi – significa anche fare investimenti per usare sempre meno energia e migliorare i servizi. Questo implica anche la sostenibilità sociale con l’accesso e l’inclusività: senza distinzione di classe sociale si può lavorare da noi e con noi. E per questo è importantissimo continuare a investire nel trasporto pubblico di cui vogliamo tutti essere ambasciatori: trasportiamo 2 milioni di persone al giorno e invitiamo tutti a fare la scelta sociale e politica di utilizzare il trasporto pubblico».
Infine, la recita corale del Padre nostro, la benedizione, la consegna dell’immaginetta che l’Arcivescovo dona a ognuno dei lavoratori e la prolungata visita al deposito con quell’immagine – davvero inattesa, che scatena fotografi e i cellulari di tutti i presenti – di monsignor Delpini ai comandi di un tram su cui campeggia la scritta “Mario”.