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Sirio 18 - 24 novembre 2024
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La Cisl: Milano, quanto costi?

I dati di una indagine realizzata da BiblioLavoro: il ceto medio soffre, tagli su alimenti, consumi energetici e cure mediche, si ricorre a prestiti, si ritardano i pagamenti

11 Luglio 2024

Il carovita pesa su chi vive nel milanese. Si fa molta attenzione ai prezzi dei beni alimentari, si taglia sui consumi energetici, si ricorre ai prestiti, si sacrificano le spese legate alla socialità e al tempo libero, ma c’è anche chi è costretto a ritardare il pagamento di mutui e bollette o, addirittura, rinuncia a curarsi. Cala la quota di stipendio messa da parte mensilmente, aumenta il ricorso ai risparmi in banca, preoccupa l’eventualità di dovere fare fronte ad impegni economici imprevisti. La casa, poi, resta un miraggio. È l’immagine di una città che soffre quella che emerge dall’indagine «Milano quanto mi costi?», promossa dalla Cisl milanese e realizzata da BiblioLavoro, il centro studi regionale del sindacato (vedi qui il documento integrale).

Il campione

I ricercatori hanno realizzato un questionario con 20 domande a cui hanno risposto 2.953 iscritti (53% donne), per il 46% residenti a Milano, il resto nell’area metropolitana. L’80,6% è composto da lavoratori (il 91,9% con un contratto a tempo indeterminato), il 16,5% da pensionati. Il 77,4% è nella classe fra 36-65 anni (gli under 36 sono l’11,2%), il 53% è coniugato, il 28,6% single (33% a Milano), il 44,8% ha figli a carico.

Per quanto riguarda la Ral personale (Retribuzione annua lorda), la fascia più rappresentata si concentra fra i 28 mila e i 50 mila euro (46,8% a Milano, 43,3% nell’area metropolitana). Quasi l’83% ha una casa di proprietà, il ricorso a una abitazione in affitto è più elevato fra i giovani (il 38,7% nell’area metropolitana, il 47,2% a Milano: qui il 18% dei lavoratori under 36 vive addirittura in una stanza).

«Stiamo parlando del cosiddetto ceto medio – afferma Eros Lanzoni, segretario della Cisl milanese con delega al mercato del lavoro -, una fascia sociale composta da persone con un lavoro a tempo indeterminato e un reddito fisso, che fino a poco tempo fa, almeno a prima della pandemia, era considerata al riparo dal rischio di cadere in povertà o comunque di dovere fare grossi sacrifici per riuscire a vivere nell’area più produttiva del Paese. Oggi non è più così e i dati lo dimostrano».  

L’indagine ha evidenziato una serie di parole ricorrenti e misure che gli intervistati indicano come utili per affrontare la situazione: innalzamento dei salari, politiche abitative, maggiore attenzione alla sanità pubblica, calmierare i prezzi dell’energia, reintrodurre meccanismi che evocano la scala mobile, calmierare i prezzi della spesa alimentare, reintrodurre sistemi simili alle gabbie salariali, supportare le politiche familiari, favorire gli investimenti nella mobilità e potenziare la diffusione del welfare contrattato. «Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi – aggiunge Lanzoni -, ma si possono cominciare a trovare risposte a livello locale.  La prima strada da seguire è il potenziamento della contrattazione territoriale, che non è ancora abbastanza diffusa, e che dovrebbe coinvolgere anche le istituzioni, a partire dal Comune. E poi occorre insistere sulla contrattazione aziendale, da estendere maggiormente anche nelle realtà più piccole, agire per coinvolgere maggiormente i lavoratori nella vita dell’impresa, così come prevede la proposta di legge di iniziativa popolare sulla Partecipazione proposta dalla Cisl e ora giunta in Parlamento. Un loro maggiore protagonismo porterebbe benefici anche sul piano economico».

Meno capacità di risparmio

Negli ultimi anni si nota un pesante ridimensionamento della capacità di risparmio: se nel 2019 solo il 19,7% risparmiava meno del 5% del salario, nel 2023 questo dato sale al 44,3% (+124,5%). Nel 2019 chi riusciva a mettere da parte almeno il 20% della busta paga mensile era il 43,6%, nel 2023 solo il 17,6%. Un ulteriore segnale di peggioramento della situazione è che l’80% ha attinto al conto in banca per fronteggiare l’aumento del costo della vita e il 40,5% lo ha fatto “spesso”. Più colpiti i giovani e le fasce di reddito basse.

Rinunce e iniziative emergenziali contro il caro vita

Gli intervistati hanno segnalato un lungo elenco di sacrifici e azioni che mettono in pratica, anche gravi, come risparmiare sulla spesa acquistando meno prodotti o di qualità inferiore (71,2%); tagliare una parte di consumi (riscaldamento, elettricità, 52,1%); rinunciare a servizi/acquisto di beni per i figli o i familiari fragili (27,5%); rinunciare a curarsi (26,6%); ricorrere a prestiti presso istituti di credito (24,9%) o famigliari/amicali (23,6%); ritardare il pagamento di bollette (20%) o di rate di finanziamenti/mutui (8%). Da segnalare che le prime rinunce si fanno sulle spese per il tempo libero, tagliando su viaggi e vacanze (59,2%), attività sociali e di svago (bar, ristorante, 57,9%), culturali (concerti, teatri, musei, 57,8%), sportive (piscina, palestra, 52,2%).

Azioni contro il caro energia e il caro spesa

In tema di energia, solo il 4,7% degli intervistati ha dichiarato di non aver cambiato comportamenti. Tra le azioni più frequentemente messe in campo troviamo «Prestare attenzione allo spegnimento delle luci» (66,7%), «Abbassare la temperatura del riscaldamento» (66,2%), «Concentrare l’utilizzo degli elettrodomestici nelle fasce orarie economiche» (54,4%), «Utilizzare le modalità ECO dei dispositivi» (52,1%).
Per quanto riguarda il caro spesa, appena il 7,4% ha mantenuto invariate le proprie abitudini. Al contrario il 68,1% evita di acquistare alimenti che non siano strettamente necessari; il 48,1% presta maggiore attenzione ai prezzi cercando le marche più economiche; il 36,9% si rivolge più frequentemente che in passato ai discount; il 36,1% acquista meno carne e pesce; il 24,1% compra meno alimenti in generale; il 12% taglia su frutta e verdura.

Le opinioni

Gli intervistati hanno espresso giudizi preoccupanti non solo sull’abitare (il 65,5% ritiene i costi ingestibili), ma anche sulla possibilità di trascorrere del tempo libero all’interno della città (per il 46,7% è economicamente proibitiva).

Agli intervistati è stata posta una domanda verso quali ambiti principali la Cisl dovrebbe orientare la propria azione. Qualche risposta.
«Far aumentare gli stipendi dei lavoratori ormai fermi da anni. Non ci sono aumenti se non per i dirigenti».
«Non è una città per famiglie, il costo delle abitazioni oramai è folle sia in affitto che in vendita anche in zone periferiche con la scusa della riqualificazione».
«Sanità: è disumano pensare che qualcuno non si possa curare perché i tempi di attesa della mutua sono troppo lunghi e non ci si può rivolgere alla sanità privata perché costosa».