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Emergenza

Immigrati: «La Lombardia può e deve fare di più»

Di fronte a un fenomeno così drammatico una sollecitazione a darsi da fare giunge dall'Arcivescovo. La Caritas Ambrosiana è pronta a dare il proprio contributo.Ne parla il direttore don Roberto Davanzo

di Pino NARDI

11 Aprile 2011

«Anche i vescovi lombardi, che si riuniranno lunedì e martedì, diranno una parola evangelica e umana su questo problema che tocca tutti quanti. Anche la nostra Lombardia, che – come tutte le regioni – fa parte dell’Italia. E ha potenzialità che altre regioni non hanno. In questo senso la Lombardia può e deve fare di più». Uno stimolo a darsi da fare che giunge dal cardinale Tettamanzi, di fronte a un fenomeno così drammatico come quello degli immigrati che si ammassano sulle coste italiane. Anche la Caritas Ambrosiana è pronta a dare il proprio contributo. Ne parliamo con il direttore, don Roberto Davanzo.

Giorni drammatici, e anche tragici visto il numero di morti in mare, di persone disperate alla ricerca di un futuro. Quale riflessione?
È chiaro che la tragedia dei giorni scorsi non può non inquietarci, ma neanche semplicemente rassegnarci a un fatto inevitabile. Purtroppo queste disgrazie accadono perché c’è una disparità, uno squilibrio spaventoso tra i nostri mondi più ricchi e quelli più poveri. Fino a quando esisterà questa disparità sarà inevitabile che si ripetano catastrofi. Questa l’abbiamo conosciuta e vista quasi in diretta attraverso gli occhi dei marinai che si erano avvicinati al barcone. Ma dobbiamo pensare a tutte le catastrofi che non vediamo e che si consumano ormai da anni nel deserto libico: attraverso il mercanteggiare di questi nuovi schiavi che vengono dal Corno d’Africa e dall’Africa subsahariana, che per poter approdare sulle coste del Mediterraneo finiscono per essere venduti e rivenduti, fatti oggetto di innumerevoli violenze sia da parte di queste bande di trafficanti di esseri umani, sia anche da forze dell’ordine dei Paesi che vengono attraversati, non ultimo la Libia.

Dunque, dobbiamo guardare oltre, non solo alla traversata in mare che è solo l’ultima tappa di un’odissea…
È necessario aprire gli occhi rispetto a un fenomeno che ha vertici visibili, ma che ha poi un sommerso infinito e quindi una sofferenza indicibile e inimmaginabile. Questo sarebbe già un primo passo doveroso di noi popoli occidentali, che deve assistere ad altri passi.

Quali?
La revisione delle nostre politiche internazionali, chiaramente non solo italiane, ma anzitutto europee. C’è di mezzo quanto Benedetto XVI ha più volte stigmatizzato, il commercio di armi che non è mai andato in crisi: vengono vendute indistintamente ai governi e anche a chi si oppone. Quindi "noi" ci guadagniamo da entrambe le parti. È chiaro che ci vuole una coscienza di popolo e della classe politica che arrivi gradualmente a prendere decisioni in questa direzione, che non può essere portata avanti da un singolo Paese, ma in maniera collettiva. Fin quando non se ne parla e non si stigmatizzano queste situazioni, dopo non dobbiamo piangere sui 300 che sono morti sotto i nostri occhi.

Che fare per chi è arrivato in Italia?
Abbiamo appreso con sollievo la prospettiva di un permesso di soggiorno temporaneo che consenta a queste persone di potersi recare in Paesi europei che loro considerano più vicini per tutta una serie di motivi (linguistici, perché hanno parenti e amici che possono accoglierli e ospitarli). Ancora una volta la questione si pone in termini di solidarietà internazionale: non può essere soltanto il Paese sul cui territorio queste persone sbarcano a doversi far carico nell’accoglienza, ma è necessaria una strategia almeno europea.

Non è eccessivo parlare di “invasione”?
I numeri hanno superato quelli a cui eravamo abituati in questi ultimi tempi. C’è stata un’eccezionalità, dopodiché abbiamo a che fare con un’Europa che è un continente grande, che ha centinaia di milioni di abitanti, rispetto ai quali anche qualche decina di migliaia di profughi non va certamente a squilibrare i meccanismi di ordine pubblico o dell’economia. Quindi mi sembra una forzatura parlare in termini apocalittici, anche se il fenomeno ha bisogno di essere governato. L’accoglienza temporanea da parte del Paese di approdo, quindi dell’Italia, di queste persone in vista di una diversa distribuzione, credo che non sia un motivo di ansia eccessiva. Con la rete di iniziative, di associazioni, di volontariato di cui l’Italia dispone da sempre impegnate con questo mondo, il governo non sarebbe mai solo nel gestire questo tipo di problema, che non è solo di Protezione civile o di Croce Rossa. Certo alle pubbliche amministrazioni, alle istituzioni, chiediamo una regia capace di riconoscere i ruoli che ogni singola realtà può giocare per alleviare questa situazione di disagio.

Come Caritas Ambrosiana c’è qualche progetto in campo?
Finora non abbiamo ancora ricevuto nessuna richiesta specifica, né noi né le altre Caritas lombarde. La nostra rete ha già dato sul territorio nazionale la disponibilità di 2.500 posti di ospitalità. A questo punto ci rivolgano una richiesta precisa e in base a quella ci attiveremo per dare le risposte più adeguate.

E a Milano quale disponibilità in particolare?
La Diocesi di Milano, la rete Caritas e le strutture per rifugiati politici avrebbero una disponibilità di una trentina di posti subito. Inoltre ci sono istituti religiosi che si sono messi in contatto con noi e hanno offerto altre disponibilità.