«Mi pare un lavoro molto promettente»: così Luciano Gualzetti, direttore della Caritas ambrosiana, commenta il dialogo in corso da tempo con il Comune di Milano.
Quale bilancio dà del percorso intrapreso con il Comune sulle periferie?
I parroci hanno restituito un’immagine precisa della reale situazione dei quartieri e delle loro principali emergenze. Ancora una volta la presenza capillare della Chiesa ambrosiana ha dimostrato di essere uno strumento fondamentale per conoscere e quindi intervenire in modo efficace. Una risorsa fondamentale, proprio in una città come Milano, dove a differenza che in altre metropoli, la povertà a volte si nasconde sottotraccia e va individuata quasi caseggiato per caseggiato, scala per scala.
Qual è la situazione dei quartieri che avete analizzato?
Ogni quartiere fa storia a sé. Abbiamo trovato una grande disomogeneità di situazioni. La crisi economica ha scavato ferite profonde nel tessuto sociale. Alcune restano sottotraccia. Ma non sono meno drammatiche di quelle più evidenti. C’è chi vive in condizioni di grave difficoltà anche in condomini abitati da persone che potremmo definire del ceto medio. In altri casi, la povertà si concentra in interi caseggiati, ma non tocca altri poco distanti. In questi casi ci sono anche abusi e illegalità. Abbiamo quindi una realtà molto disomogenea, ma se dovessi trovare un tratto comune che lega tutte queste situazioni, da quelle più gravi a quelle meno dirompenti, individuerei questa caratteristica nella condizione di solitudine: il deterioramento delle relazioni di solidarietà, da quelle familiari a quelle con i vicini, è un aspetto evidente che va tenuto presente se si vogliono davvero risolvere le situazioni».
Recentemente Caritas Ambrosiana ha diffuso i dati sulla povertà alimentare a Milano. Da quella indagine emerge che 18 mila famiglie in città chiedono aiuto ai centri di ascolto della Caritas per le spese quotidiane. Che cosa ci dice questa ricerca?
Ci dice che circa 18 mila famiglie a Milano non riescono ad arrivare alla fine del mese e che, per far quadrare i conti, risparmiano sul cibo, mettendosi in coda ai centri di ascolto che distribuiscono pacchi viveri e venendo agli Empori della solidarietà. Volontari e operatori, mentre giustamente offrono questo tipo di sostegno, sanno anche che non possono limitarsi a questo. Abbiamo da tempo imparato a distinguere tra richieste e reali bisogni. Dall’analisi che ha realizzato l’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse della Diocesi di Milano, su un campione rappresentativo di questi utenti, emerge che il bisogno alimentare ne cela altri che sono conseguenza delle contraddizioni della nostra società: la debolezza del welfare di fronte all’invecchiamento della popolazione, la crisi delle relazioni familiari, l’isolamento sociale di alcune categorie di persone, la precarietà di contratti di lavoro, la bassa e insufficiente remunerazione di alcune mansioni. La mancanza di cibo, in una città come Milano, va interpretata come una potente metafora che riassume in se stessa le tante ferite della nostra società, esattamente come le mani trafitte protese verso il pane nel quadro di Safet Zec che ha aperto al Refettorio Ambrosiano la settimana milanese sul cibo. Per non limitarci a lenire quelle ferite, ma per curarle, vanno affrontate le cause avendo una visione integrale della città che vogliamo costruire.
Secondo lei Milano, spesso celebrata per i suoi primati, rischia di trasformarsi in una città di super ricchi e gravi emarginati?
L’aumento della disuguaglianza è un fenomeno globale che emerge in modo quasi plastico nelle grandi metropoli del mondo sviluppato tra le quali Milano occupa senza un dubbio un posto rilevante. Detto questo, bisogna riconoscere che c’è anche una grande lavoro da parte delle istituzioni e del terzo settore per ridurre questo divario. È chiaro che le operazioni immobiliari fantasmagoriche sono più veloci e colpiscono di più l’opinione pubblica, rispetto al lavoro paziente di ricucitura delle contraddizioni che si deve fare nei quartieri. Il ruolo della Caritas Ambrosiana è presidiare affinché proprio questi interventi nelle cosiddette periferie vengano realizzati con il necessario impegno e che quando si affrontano le situazioni di abuso o di occupazione nelle case popolari si presti attenzione alla legalità, ma anche alla dignità delle persone, senza inutili operazioni muscolari. Quello che dobbiamo fare è un lavoro meticoloso, paziente, bisogna predisporsi a operare con ago e filo per rammendare gli strappi che la crisi ha aperto. Ma Milano ha le risorse economiche, intellettuali, sociali per vincere questa sfida.