«Nella tragedia siamo stati tutti schiacciati, ma ne è uscito un vino migliore, forme inedite di prossimità, la dedizione di alcune categorie fino all’eroismo per far funzionare ospedali, trasporti, scuole e negozi. È come una pepita d’oro in un contesto che, talora, si descrive malato di individualismo, di egoismo, di indifferenza. Ne è emersa una rivelazione della gente qualsiasi, quella che non conta niente, ma che potrà incidere sui progetti dei ricchissimi per orientarli a un bene comune e per avvertire anche loro del pericolo di perdere l’anima».
Il messaggio di speranza che ispira l’intera Lectio Magistralis dell’Arcivescovo, che apre l’incontro “Vite scombussolate dalla pandemia”, diviene anche un modo per parlare della responsabilità da cui nessuno si senta escluso per l’edificazione di una società migliore e di vita buona.
Dopo i saluti inziali di Giorgio Lambertenghi Deliliers e di Marco Garzonio, presidenti, rispettivamente, delle Fondazioni Matarelli e Ambrosianeum, promotrici del confronto, la riflessione del vescovo Mario – che si definisce «non un maestro, ma un cercatore d’oro» – è, appunto, un invito a leggere con consapevolezza la realtà, ma anche a spostare lo sguardo oltre il presente con speranza.
Parola sottolineata da Garzonio, in apertura: «monsignor Delpini non è solo il nostro Pastore: lo riconosciamo come colui che ha governato, con uno stile tutto suo, la Chiesa ambrosiana. Nel suo pensiero, attraverso il messaggio Pasquale, vi è la lettura del segno dei tempi con speranza. Il suo è un rivolgersi con semplicità, ma al cuore».
Tema importante – questo -, mai come oggi quando il Covid è argomento onnipresente, quasi non si possa parlare di altro. Una sorta di ossessione collettiva, dove, però, la primavera ha, comunque, fatto irruzione (e come avrebbe potuto essere altrimenti?).
«L’ostinazione della primavera è l’invito a levare il capo e a stupirsi ancora della vita, della bellezza», anche se «l’esperienza delle cose sembra consigliare, come forma di sapiente interpretazione del destino umano, la rassegnazione a morire. La conseguenza di questa persuasione, così diffusa, può essere la disperazione: non c’è speranza, in senso letterale, quindi, c’è angoscia».
Una situazione resa estrema dalla pandemia «in cui la morte si è fatta presenza più invadente e frequente. Eppure, anche qui, si possono raccogliere frammenti illuminanti, pepite d’oro. Forse, l’animo delle persone ha un senso della relazione, dell’affetto, della speranza più radicato e inestinguibile di quanto il buon senso della ovvietà vorrebbe far credere», osserva l’Arcivescovo.
Eppure, «tra le proposte disponibili mi sembra – scandisce ancora – che la disperazione sia preferita alla speranza. Questo fa riflettere i cristiani che si chiedono come possono essere testimoni credibili che la morte non è la fine nel nulla. Abbiamo bisogno di una promessa». Quella che si nutre di fede e di giustizia, di speranza e di carità.
«Viene da pensare che, per i ricchissimi, la pandemia sia un affare e non siano interessati alla guarigione del pianeta. Quali progetti stanno elaborando, a proposito del futuro, i ricchissimi i quali, si può presumere, sono anche potentissimi, quindi, in grado non solo di fare progetti a loro vantaggio, ma di farli sembrare promettenti per l’umanità e di far sì che sia desiderabile attuarli? Ci sono progetti vantaggiosi per i ricchissimi che cambiano il volto della società. Per esempio si dice, “saranno poi necessari lavoratori per il lavoro?”. La proposta di una critica alla ricchezza, gestita solo in modo egoistico, e di una politica più lungimirante può entrare in dialogo alla pari per orientare a un più saggio utilizzo delle grandi ricchezze». Magari, con i gesti minimi della gente che – apparentemente – non conta niente, ma che è la vera forza di una storia condivisa.
E, allora, l’invito è, ancora una volta, a non perdersi nel vuoto, ma a vedere il bello, l’oro, i colori della primavera che ci circondano, come fa, nel suo bel volume, il sacerdote ambrosiano, don Matteo Panzeri, 45 anni, ammalatosi gravemente di Covid e, che, oggi, ne racconta l’esperienza, giocando sul titolo “Curato” e scrivendo: «l’antidoto al vuoto è semplice: accorgersi».
Gli interventi
Poi, gli interventi degli altri illustri relatori. Alberto Pellai, psicoterapeuta notissimo e saggista (a cui si deve l’articolo pubblicato su “Aggiornamenti Sociali” che dà il titolo all’intero incontro) tratta della sofferenza degli adolescenti. «Come dicono gli indicatori psicologici, la presa in carico di chi offre terapia e cura, è aumentata del 39/40% per problemi di sofferenza mentale. La pandemia va a rendere ancora più fragile, una fragilità pre-esistente. Ci sono due grandi sottogruppi, all’interno della popolazione adolescente», avverte lo studioso. «C’è chi ha sviluppato una dimensione di senso, avendo più tempo a disposizione, nella narrazione potenziata di sé, come hanno testimoniato molti sacerdoti. Pensiamo alla lezione di stile venuta con gli oratori estivi. Per la prima volta abbiamo visto questi ragazzi mentre chiedevano la riapertura delle scuole. In mezzo a tanti dati clinici, che raccontano un’adolescenza in difficoltà, abbiamo scoperto forza, resilienza e la dimensione del desiderio. Poi, c’è il gruppo dei super-fragili. Credo che avremo bisogno di tante figure educative, non solo nei luoghi formali, ma anche educatori domiciliari e di strada al fine di prendere per mano chi si è perso. Per noi adulti deve essere un tempo di ripensamento su cosa abbiamo offerto all’età evolutiva, con le due parole-chiave: educazione e responsabilità».
Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione di Psicogeriatria Italiana, già docente, si sofferma su «L’eutanasia nascosta degli anziani». Chiara la sua posizione: «La crisi delle famiglie spesso è alla base della solitudine dell’anziano. La strada per uscirne è pensare alle reti, non solo quelle telematiche ma umane, e ai servizi. I nostri anziani, il più delle volte, non sono messi nelle condizioni di godere e di vivere la primavera: occorre ricostruire perché non vi sia un’eutanasia silenziosa; bisogna permettere al vicinato di ritessere un tessuto sociale, alle parrocchie di essere luoghi di incontro. Abbiamo speso troppe parole contro le RSA, ma io ho visto anche tanta generosità», spiega Trabucchi che aggiunge: «Tuttavia, oggi ci è chiesto qualcosa di più, maggiore competenza, voglia di cambiare e di costruire. Siamo tutti alla vigilia della ripresa, anche le RSA, e vedremo come sapranno fare un extra-bene nuovo».
«Dobbiamo avere obiettivi a breve, anti-eutanasici, concreti, non lasciandoci distrarre. Bisogna subito combattere la solitudine. Vivere in case senza ascensore vuole dire non uscire mai. Avere una progettualità che serve, chiede, ad esempio, di fare semplicemente un piano ascensori».
Infine, Alberto Quadrio Curzio, famoso economista e già presidente dell’Accademia dei Lincei, su “Il virus della diseguaglianza”.
«È chiaro che la pandemia ha enormemente aumentato le diseguaglianze, anche per un’incapacità di guardare lontano, cosa che invece fa il progetto “Next generation new”. Bisogna parlare oggi al futuro e i corpi intermedi rappresentano un elemento cruciale per andare oltre le diseguaglianze. Il principio di sussidiarietà, portante di tutta la riflessione cattolica, è fondante per la realizzazione completa della persona nel contesto sociale. Il ceto dei 15-29enni – con una percentuale di giovani italiani che non studiano né lavorano, più alta del 12% rispetto alla media europea, va fortemente attenzionato, perché un soggetto che trova spazio nella società, si automotiva, trova elementi di sostegno, fa famiglia. Guardare l’economia unicamente come Stato e mercato, è un errore. Non bisogna dimenticare l’articolazione delle Istituzioni sul territorio, la sussidiarietà e i corpi intermedi».