Un convegno sul rapporto tra spiritualità e salute, che si inserisce in una riflessione già avviata da tempo dalla Fondazione Ircss Istituto Nazionale dei Tumori, e che quest’anno porterà a interrogarsi, nella mattinata di mercoledì 24 aprile dalle 9.30, su «Valori costituzionali ed evoluzione della pastorale della salute» (vedi qui la locandina).
Un’assise presso l’Aula magna dell’Istituto (via Venezian 1, Milano) e in diretta streaming, che vedrà la presenza di più relatori, di esponenti delle istituzioni e dell’Arcivescovo nella sua veste di Metropolita di Lombardia (la Conferenza episcopale lombarda è infatti tra i promotori con Regione Lombardia, lo stesso Ircss e la Pontificia Accademia Pro Vita).
Il cappellano don Tullio Proserpio illustra il significato dell’evento: «Questo convegno vuole rimettere al centro l’importanza del tema della spiritualità, non come qualcosa di improvvisato o una moda, ma trovando un fondamento nell’ambito della Costituzione. Credo che questo sia un aspetto significativo che anche i Padri costituenti intuirono, riservando attenzione alla dimensione del prendersi carico della persona malata, bisognosa di cura nella sua totalità».
È importante continuare a sottolineare l’aspetto della spiritualità nella cura?
Sì, certamente bisogna operare e agire, ma c’è una riflessione previa da fare: noi non ci stiamo muovendo a caso, abbiamo un orientamento, un obiettivo di fondo, mettendoci costantemente in contatto, in ascolto dei bisogni delle persone malate. Quindi le riflessioni proposte dai vari relatori ci aiuteranno a scendere ulteriormente in profondità rispetto a questa dimensione chiaramente determinata.
In ambito come quello di un istituto grande e famoso nel mondo come il vostro, camminare insieme è più necessario che mai…
La Chiesa si mostra solidale con quanti si impegnano nella sanità e per aiutare chi è nel bisogno. Come Chiesa vogliamo testimoniare la solidarietà e dire anche qual è la nostra specificità. Insomma, abbiamo qualcosa da dire perché, come scriveva Paolo VI, siamo esperti in umanità. Non esiste chi sa tutto e chi niente: siamo tutti poveri uomini e donne che vogliono darci una mano l’un l’altro per provare a intuire un percorso condiviso con la molteplicità di persone che, loro malgrado, si trovano coinvolte in situazioni molto forti.
La Cappellania viene ascoltata da medici e operatori sanitari o è considerata una presenza scontata?
Sì, siamo molto ascoltati. A parte i rapporti di amicizia che si sono creati, don Luciano Massari e io – collaboriamo strettamente anche con don Stefano Bersani dell’Istituto neurologico “Carlo Besta” – veniamo riconosciuti come coloro che stanno accanto al letto del malato, non come portatori di qualcosa di teorico.
A Praga dal 10 al 14 aprile si è svolto un convegno europeo dei Cappellani ospedalieri, a cui lei ha partecipato. Che esperienza è stata?
Si è trattato di un’esperienza ecumenica nel senso più ampio, perché eravamo circa 80 persone di 25 diversi Paesi. Io ero l’unico italiano presente. Abbiamo respirato davvero a pieni polmoni, sotto la guida della responsabile dei cappellani europei, Gudrun Rosen, della Chiesa protestante svedese. Noi abbiamo in mente il Cappellano sacerdote, mentre a livello internazionale ci sono uomini e donne che hanno una formazione universitaria, con corsi di perfezionamento teorici e vicino al letto del paziente, con supervisori che controllano e analizzano il modo di approcciarsi con il malato. Un aspetto che mi ha colpito in modo straordinario è la totale accoglienza del magistero di papa Francesco.