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Oratori

L’Arcivescovo agli adolescenti: «La morte non può cancellare il fascino della vita»

Un incontro al Musa, il Museo Universitario delle Scienze Antropologiche, con monsignore Delpini, un gruppo di ragazzi e i ricercatori di Labanof è stata l'occasione per "attualizzare" una delle opere di misericordia ("seppellire i morti"), nella seconda tappa di un cammino proposto dalla Fom. Con le discipline scientifiche in difesa delle vittime e della loro memoria, contro ogni violenza.

di Annamaria BRACCINI

26 Novembre 2024
L'Arcivescovo con gli adolescenti in visita al MUSA (Foto Agenzia Fotogramma)

«Leggiamo nella morte l’irripetibile fascino della vita, l’invincibile promessa di un’identità che il tempo non cancella, l’inconsolabile soffrire che solo Dio consola, salva, guarisce. Grazie per la premura per le vittime, per la cura per le relazioni, per la pazienza che restituisce la parola a ciascuno, perché raccontando la sua storia, aiuti a scrivere una storia migliore».

È questo il messaggio che l’Arcivescovo scrive nel Libro d’Onore del Musa, il Museo Universitario delle Scienze Antropologiche, mediche e forensi per i Diritti Umani, la cui mission è diffondere il ruolo e l’importanza di tali discipline nella lotta alla violenza.  

Il Musa

Nato dall’esperienza trentennale di Labanof, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi di Milano, facente parte dell’Istituto di Medicina Legale – da cui è sorta, poi, Cal, la Collezione Antropologica Labanof -, Musa porta per la prima volta al pubblico il ruolo della scienza nella lotta alla violenza e nella tutela dei diritti umani.

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Ed è in questi suggestivi spazi (talvolta dolorosi, per le tragedie che evocano) che arriva un nutrito drappello di adolescenti che, accompagnati dai loro educatori e sacerdoti, partecipano all’iniziativa “L’Arcivescovo vi invita…”, provenendo da 3 oratori – quelli delle milanesi “Santa Maria del Rosario” e della Comunità pastorale Beata Vergine Immacolata e Sant’Antonio e della Cp San Giacomo e Santa Teresa di Calcutta di Vergiate – per incontrare il vescovo Mario in un luogo simbolo, appunto, come il Musa. Uno dei 7 scelti quest’anno, in vista del Giubileo 2025, per vivere e raccontare le altrettante opere di misericordia corporale. Protagonista della seconda tappa: “Seppellire i morti”, proposta, come l’intero ciclo, dalla Fom, presenti anche il vicario episcopale di Settore, don Giuseppe Como e il direttore, don Stefano Guidi.  

Accolti da Cristina Cattaneo, co-fondatrice e direttrice del Museo, ordinario di Medicina legale e di Antropologia alla Statale di Milano, dal prorettore vicario dell’Ateneo, Giovanni Onida e dai direttori del Dipartimento Scienze biomediche per la Salute, Massimiliano Corsi-Romanelli, della Sezione Medicina legale dell’UniMi, Riccardo Zoia, e dal personale, i ragazzi si sono così avventurati, divisi in due gruppi (di cui uno guidato dalla professoressa Cattaneo), in una vicenda antichissima e moderna, insieme tragica e di speranza, di violenza e di civiltà. Così come fanno, dal 2 novembre 2022, 10.000 studenti l’anno visitando Musa, in modo del tutto gratuito.

(Foto Agenzia Fotogramma)

Dal passato millenario a oggi

Si parte dalla sezione storica dove, grazie a un accordo con la Soprintendenza per l’Archeologia, vengono conservati ossa e scheletri rinvenuti nei cimiteri risalenti all’epoca romana fino a quelli di 500 ani fa. 15.000 reperti – utili persino allo studio di patologie come il cancro – che fanno dell’esposizione uno dei musei di questo tipo, tra i più grandi al mondo.

Interessanti e letti dai giovani con particolare curiosità, i pannelli che affiancano il racconto dei libri di testo con ciò che si scopre studiando i morti. Storie spesso molto diverse tra loro, ma dove i fragili sottoposti a violenza sono sempre gli stessi, in maggioranza donne (significativo che, per una coincidenza, la visita si svolga nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne), bambini e, magari, chi ha la pelle di colore diverso o professa il cristianesimo in epoca romana imperiale, come i sani Gervaso e Protaso, i “difensori” di Sant’Ambrogio, conservati nella cripta della basilica omonima, su cui Cristina Cattaneo nel 2018 ha condotto un’approfondita ricognizione medico-legale confermando il dato reale della loro provenienza nordafricana e del martirio.  

Il diritto all’identità

Poi, il “salto” a oggi nella “Stanza del diritto all’identità” con le 4 testimonianze-video di persone ai 4 angoli del mondo come Doris il cui padre, ucciso nel 1996 in piena guerra dei Balcani, è stato pienamente identificato 23 anni dopo.  O ancora con le lapidi, fatte solo di numeri, dei 1000 morti, dei quali 28 sopravvissuti e solo 80 identificati per ora tra chi non ce l’ha fatta, del cosiddetto “Barcone” affondato il 18 aprile 2015 in acque internazionali tra Libia e Sicilia.

«Dare un’identità non è solo un dovere, un atto di civiltà e di pietà, ma è aiutare le persone a uscire dal “non sapere” e permettere magari a un bambino, certamente rimasto orfano, di poter essere adottato o di emigrare, a un genitore di piangere il proprio figlio», spiega la direttrice. «Per questo abbiamo una stanza per riflettere su come, dai morti, si possa intercettare la violenza sui vivi, violenza che è una malattia sociale e come tale va trattata», aggiunge.

E si prosegue nella sala “Crime” con le ricostruzioni dei delitti grazie agli esami autoptici, arrivando, infine, alla sala dedicata alla cosiddetta Operazione Melilli, dal nome della località in provincia di Siracusa sul cui pontile, a giugno 2016, il relitto del “Barcone”, venne recuperato dalla Marina Militare, dai Vigili del Fuoco, dal Corpo Militare della Croce Rossa Italiana, e dai team universitari – ben 14 – guidati da Cattaneo stessa. Filmati e reperti- seguiti in silenzio dai ragazzi attentissimi – per narrare l’inenarrabile di una carretta del mare con 5 persone stipate per metro quadro e tanti bambini, con le loro pagelline cucite addosso, i piccoli ricordi delle famiglie, e ciò che anche i coetanei italiani hanno in tasca. Ma soprattutto un modo per dire “grazie” a chi non dimentica e continua a cercare di dare un nome e una dignità umana a poveri resti.

Foto Agenzia Fotogramma

«Stare dalla parte delle vittime che parlano»

Una «gratitudine e ammirazione» che l’Arcivescovo esprime a conclusione.   

«Questa ricerca, questo tipo di studio è quello di chi sta dalla parte delle vittime della violenza degli uomini, degli altri, degli incidenti, delle malattie: quelle che oggi non parlano, non contano, non votano, non forniscono vantaggi. E stare dalla parte delle vittime, nel senso della cura e dello studio per l’identità, vuol dire l’apprezzamento per la persona e mi sembra molto importante che noi impariamo a stare dalla parte delle vittime, ma non come a una folla indistinta, perché ciascuno ha la sua storia da raccontare».

L’invito per i giovani è di «superare la superficialità anche quando si va al cimitero», perché «i morti ci parlano e noi non possiamo essere impermeabili al gemito». E così anche il tema della relazione. «Se queste persone scomparse non si trovano, resta una relazione interrotta, una nostalgia, un desiderio. La relazione è ciò che dà identità, che fa sì che nessuno sia insignificante sulla terra perché sta a cuore a qualcuno».

Infine, la visione cristiana delle reliquie.

«Noi cattolici, in modo particolare, abbiamo una venerazione per le reliquie: i corpi dei morti che diventano un aiuto a pregare. La professoressa Cattaneo ha studiato approfonditamente lo scheletro di sant’Ambrogio, dei santi Gervaso e Protaso e anche di san Vittore e ciò che essi hanno raccontato a proposito della loro vita e della loro morte. Cosa vuol dire una reliquia? È un segno che un uomo, una donna, non sono solo una storia che finisce nella terra. E, quindi, occorre stare dalla parte delle vittime, con cura all’identità, apprezzamento delle relazioni con cui noi viviamo, meditando sulle vite dei santi e su quello che loro, anche con le reliquie, ci aiutano a sentire come comunione con l’Eterno».

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