In occasione della 23ª Esposizione internazionale di Triennale Milano, l’Arcivescovo ha visitato la mostra Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries, accompagnato dal presidente della Triennale Stefano Boeri, e dialogato poi con lo stesso Boeri sul tema del mistero.
Un dialogo che in qualche modo – ha ricordato Boeri – ha richiamato quella tensione nella ricerca di risposte ai grandi temi del sapere e dell’esistenza che hanno caratterizzato i “Dialoghi di vita buona”. Una proposta che a sua volta si rifaceva a quell’esperienza fertile e profonda per la città di Milano che fu la Cattedra dei non credenti istituita dal cardinale Martini.
La mostra, ha spiegato Boeri, nasce nel contesto dello smarrimento provocato della pandemia, quando «abbiamo percepito che la presenza di un microrganismo sconosciuto stava cambiando la storia». Per questo, ha sottolineato l’architetto, non ha risposte pronte da dare: «Questa esposizione altro non è se non una collezione di domande, che ci interrogano sull’ignoto da prospettive diverse. Partendo da una consapevolezza: nella maggior parte dei campi del sapere – dai fondali oceanici alle neuroscienze – conosciamo poco più del 5% dello scibile».
Due approcci differenti
Monsignor Delpini ha trovato molto interessante il «viaggio nell’inquietudine dell’ignoto» proposto dalla Triennale, apprezzando i percorsi di conoscenza proposti: dalla matematica al design, dalla fisica del cosmo alla cinematografia. Ma ha voluto sottolineare come l’approccio al mistero possa essere di due tipi, molto differenti tra loro: «Vorrei fare una distinzione tra alcuni termini che descrivono ciò che non conosciamo – ha spiegato -. La prima parola è “ignoto”, un termine che indica ciò che non è conosciuto e che non ha una particolare valenza emotiva. C’è poi “enigma”, che nella mia interpretazione descrive quell’ignoto che ci spaventa, che ci inquieta. E infine c’è “mistero”, che per me è l’incomprensibile in grado di regalarti lo stupore. Ecco, io credo che l’inquietudine sia molto diversa se ci troviamo di fronte a una disperazione o se, invece, lo stupore ci dà la possibilità di addentrarci nel mistero come all’interno di una terra promessa».
E sui percorsi della conoscenza l’Arcivescovo ha aggiunto: «Ho come l’impressione che oggi il linguaggio sentito come più rassicurante sia quello della scienza. Ma io credo che i percorsi di conoscenza esclusivamente scientifici rischino di essere riduttivi. Penso che ci sia un altro tipo di conoscenza carica di speranza e di promesse sulla vita: la consapevolezza del mistero dell’amore, grazie alla quale possiamo guardare all’universo non come a un posto minaccioso, nel quale l’uomo è insignificante, ma appunto come a una terra promessa».
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