Tre denunce e altrettante proposte su questioni oggi tra le più urgenti per la città di Milano, riguardando coloro che vivono ai margini della società. È questo l’inedito progetto che Casa della Carità ha presentato in occasione del convegno «(In)visibili e (In)curabili – Pratiche e proposte per l’equità», svoltosi presso la sede della Fondazione con la presenza, tra molti operatori, volontari e ospiti della Casa, dei due garanti della Fondazione stessa, l’Arcivescovo di Milano e, in rappresentanza del sindaco Beppe Sala, l’assessore all’Urbanistica Giancarlo Tancredi.
Fondamentali, come è stato più volte sottolineato durante l’assise, gli ambiti presi in considerazione dal progetto: la condizione dei migranti più svantaggiati, la grave emarginazione e la situazione nelle carceri. Il lavoro, generato da tre precedenti workshop – realizzati il 5 novembre scorso, con il coordinamento di Casa della Carità, che hanno coinvolto quasi 100 partecipanti tra rappresentanti delle istituzioni pubbliche e del Terzo settore – è stato riassunto in un documento consegnato ai due Garanti. Filo conduttore dell’intera analisi e del convegno è stato il tema della salute e i suoi determinanti, vale a dire le condizioni sociali, economiche, educative e ambientali che influenzano il benessere delle persone come reddito, istruzione, lavoro, abitazione e accesso ai servizi.
I migranti più svantaggiati
Per quanto riguarda il primo ambito – i migranti più svantaggiati – la denuncia ha evidenziato «le difficoltà specie dei bambini di famiglie migranti, i cui genitori affrontano ostacoli nell’accesso a scuole e mense scolastiche, per esempio perché sono spesso costretti a pagare la tariffa massima per l’assenza di certificazione Isee. Inoltre, emerge la necessità di supporto per l’accudimento dei bambini tra 0 e 6 anni, quando i genitori lavorano». Da qui la proposta: «Sviluppare risposte concertate tra pubblico e privato per affrontare questi bisogni specifici delle famiglie».
Grave emarginazione
Relativamente alla grave emarginazione si sono evidenziate «le difficoltà incontrate dalle persone più fragili nel riconoscimento dei diritti di cittadinanza, ostacolate da barriere linguistiche e informazioni poco chiare presso gli sportelli competenti. Per questo occorre creare un portale pubblico, accessibile sia agli utenti che agli operatori, con informazioni trasparenti e tradotte, supportate da mediazione culturale, per garantire equità e rispetto, evitando che l’accesso alle informazioni sia limitato o utilizzato in modo arbitrario».
Carcere
Per il carcere, preso in esame specifico quello di San Vittore, «caratterizzato da sovraffollamento e strutture inadeguate con episodi di autolesionismo e suicidi e il preoccupante destino delle persone più fragili, spesso homeless, che escono dal carcere ancora più emarginate». Che fare, allora? «Attuare un intervento coordinato tra enti pubblici e privati per migliorare le condizioni detentive e creare percorsi di reintegrazione sociale con contesti territoriali adeguati e accoglienti».
Un’Assemblea di Comunità
«Dal lavoro che abbiamo presentato è emerso un quadro articolato, che ha generato un’ulteriore proposta concreta: la creazione di una sorta di “Assemblea di comunità”, come strumento partecipativo per promuovere un dialogo costante tra cittadini, istituzioni ed enti del Terzo settore su temi cruciali come la salute pubblica o la questione abitativa», ha spiegato don Paolo Selmi, presidente della Fondazione Casa della Carità, che ha aperto il convegno.
«La missione di questa casa non è il moltiplicarsi in tante esperienze simili, ma di innovare a favore di tutta la città. La presenza dei nostri due Garanti rappresenta, in modo chiaro, l’alleanza tra Diocesi e città», ha aggiunto Selmi, ricordando i vent’anni delle attività della Casa, inaugurata il 24 novembre 2004 e la significativa scelta di porre l’incontro all’interno del ciclo delle “Cattedre della Carità”, promosse da Caritas ambrosiana per il 50esimo. «La città è il luogo di un’identità che si ricostruisce continuamente a partire dal nuovo e dal diverso, Milano non può, nel nome dell’identità, perdere la sua vocazione all’apertura. L’accoglienza per la milanesità non è solo un affare di buon cuore, ma uno stile. È la fatica dell’apertura e la dolcezza del riconoscimento», ha concluso, citando il cardinale Martini a cui si deve l’intuizione di Casa della Carità.
«In questi 20 anni vi sono state grandi trasformazioni economiche e politiche, ma una cosa non è mutata: l’umanità con cui Casa della Carità si è presa cura delle persone più fragili – ha evidenziato l’assessore Tancredi -. La Casa ci ricorda la naturale inclinazione all’accoglienza con un aiuto erogato a migliaia di persone. Non dimentichiamo che in Italia ben 5,7 milioni, pari al 9% della popolazione, vivono nella povertà assoluta».
Don Colmegna: «La persona sempre più al centro»
Parole, queste, approfondite da don Virginio Colmegna, anima della Fondazione e presidente emerito: «La Casa rappresenta non solo un patrimonio di cultura e spiritualità, ma anche un’eredità capace di tracciare solchi profondi. andando a scoprire i non luoghi per mettere sempre più al centro la persona, la sua dignità e salute come diritto universale. La salute deve essere concepita come un progetto di comunità, non può essere ridotta solo a una questione di prestazioni sanitarie. Bisogna passare dalla sanità alla salute come processo generativo. Le disuguaglianze non sono una fatalità, ma sono frutto di scelte e con il progetto Arcturus di Casa della Carità è possibile integrare sociale e tema della salute».
L’intervento dell’Arcivescovo
Dalla parabola delle vergini sagge e stolte, si avvia l’intervento dell’Arcivescovo: «La disponibilità di risorse è inadeguata, non ci sono abbastanza soldi per mettere in pratica leggi e programmi organizzativi della salute che in gran parte sono ispirati da ottimi principi, ma che vanno verso la catastrofe perché i ricchi potranno curarsi e i poveri no».
Da qui il riferimento alle vergini stolte: «Come si chiamano queste vergini che non avevano sufficienti risorse, nel loro caso, per fare festa al Signore e, nel nostro oggi, per fare fronte ai bisogni? Si chiamano sperpero delle risorse che abbiamo con la corruzione, gli investimenti sbagliati, le priorità non sufficientemente studiate. Secondo nome delle stolte: la guerra, con le risorse impiegate per costruire strumenti per uccidere e così non ne abbiamo più per guarire. Terzo: l’illegalità, l’evasione fiscale in specifico. E, ancora, la stupidità che non si rende conto dei fenomeni come, per esempio, le migrazioni: il Paese si spopola, ma qui gli altri non possono venire. Ultimo nome, la burocrazia, per cui i medici passano più tempo a compilare carte che a visitare pazienti».
Poi i nomi delle vergini sagge: «L’organizzazione e la politica che sanno mettere a frutto risorse. La politica dovrebbe avere lo scopo di curarsi del Bene comune; la sussidiarietà nella sua valenza di immaginazione di una società in cui vengono integrati pubblico e privato, nella logica della Dottrina sociale della Chiesa; la lungimiranza e la solidarietà, intesa come reciprocità perché ciascuno ha qualcosa da dare. E, infine, la sobrietà, un termine molto interessante per me perché significa porsi volontariamente un limite. Noi siamo sconfitti, le nostre proposte incontrano parole di incoraggiamento, non un cambiamento del sistema. Ma noi, gli sconfitti, siamo quelli che permettono all’umanità di sopravvivere». E scatta l’applauso.