«La sua fortezza era resistere, talvolta nei confronti del mondo cattolico, talvolta rispetto alla dittatura fascista come pure, nel privato, alla contrarietà della famiglia per sue alcune scelte». Dice così Aldo Carera, direttore dell’Archivio per la Storia del Movimento Cattolico in Italia “Mario Romani”, aprendo il secondo dei tre appuntamenti del ciclo «Con cuore di donna», organizzato dall’Università Cattolica e dall’Istituto di Studi superiori Giuseppe Toniolo in vista della beatificazione di Armida Barelli.
Della co-fondatrice dell’Ateneo si parla tra approfondimenti, riflessioni e le belle immagini della graphic novel ideata e curata dalla giornalista Rai Tiziana Ferrario, anch’ella relatrice all’incontro moderato da Roberto Fontolan.
Un’analisi a tutto tondo della Barelli che, per Carera, fu «portatrice di una dimensione missionaria nutrita di carità, che si trovasse in Italia o in Cina. In questi tempi disgraziati – prosegue – possiamo evocare la consacrazione dei soldati della prima guerra mondiale al Sacro Cuore con 2 milioni di pacchi di aiuti inviati al fronte in pochi mesi nel 1917. La stessa iniziativa dell’Università Cattolica nasceva dal suo prendere atto che, in un Paese come il nostro, non vi era spazio per un sistema ispirato alla visione cristiana. In questo senso, intraprendere una grande mobilitazione voleva dire pensare alla formazione di un ceto dirigente di matrice cattolica. Era una sorta di idea aristocratica, nel senso di indurre a una scelta contro la linea prevalente in Italia dopo l’unità: i 107 primi allievi dovevano sentire e uscire dall’Ateneo con questa responsabilità e consapevolezza».
Consapevolezza che doveva essere propria anche delle donne, se si pensa che negli anni Venti e Trenta la Cattolica contava, tra le Università italiane, la più elevata presenza femminile.
La graphic novel
Dalla graphic novel «Nulla sarebbe stato possibile senza di lei» – un lavoro di squadra di 50 pagine, da cui è stata tratta anche una mostra a pannelli molto richiesta -, avvia il suo intervento Tiziana Ferrario: «Armida sceglie di seguire le sue passioni e, quando usiamo oggi la parola impresa, pensiamo a donne con una leadership molto forte come fu lei. È una donna rivoluzionaria che va rivista alla luce anche del cammino delle donne in questi ultimi 100 anni. Io non ritengo che il suo obiettivo fosse l’emancipazione femminile, ma la fede; eppure, nel momento in cui mobilita questo sterminato esercito di donne, inconsapevolmente realizza tale emancipazione: basti pensare all’ingresso delle donne in politica nel dopoguerra o alla fondazione di Collegi come il “Marianum”, che permisero a tante ragazze di studiare in luoghi sicuri, in tempi in cui non accadeva spesso di allontanarsi dalle famiglie di origine».
«In lei c’è il senso della missione, dell’avventura e del costruire», osserva Fontolan, dando la parola ad Alessandro Zaccuri, direttore della Comunicazione della Cattolica, che propone un interessante parallelo tra i tempi della futura beata e l’oggi: «A volte la storia – che non si ripete mai – però si assomiglia, quando per esempio si parla di santità. Volere ostinatamente cambiare il proprio tempo è tipico dei santi e così infatti fu anche per Armida Barelli. L’“essere nel mondo, ma non del mondo” della Lettera a Diogneto – che, non a caso, ha avuto tra i suoi maggiori commentatori Giuseppe Lazzati, affine nel pensiero alla Barelli -, esprime a pieno la personalità di Armida. La sua vita è a cavallo tra due secoli: appartiene a un’età di cambiamento, come furono gli anni Venti del secolo scorso, con il ruolo delle nuove tecnologie di allora: il cinema, la radio, i primi dischi e telefoni. Tutto quello che viviamo oggi, come smaterializzazione, inizia da lì. Non dimentichiamo, inoltre, che i primi decenni del Novecento cambiano anche il modo di raccontare la storia e l’idea del bello con le avanguardie letterarie e artistiche. E, poi, sullo sfondo sta il grande tema della guerra come forma di soluzione ammissibile dei problemi. Per capire Barelli bisogna tenere conto di tutto questo, perché ciò definisce anche la sua modernità», per esempio, nella comunicazione, come sottolinea ancora Carera: «Armida non si vede come leader o donna di pensiero, ma scopre, nel tempo, la sua grande capacità di comunicatrice, avvalendosi anche delle nuove possibilità tecniche. Il suo segreto era la lettura, ma soprattutto il meditare nel silenzio». Un insegnamento, questo, prezioso e rigoroso, secondo Ferrario, «per tempi come i nostri in cui siamo travolti da continue sollecitazioni e da un brusìo di sottofondo dove si intrecciano notizie vere e false».
Infine, in riferimento alla definizione dei fondatori dell’Ateneo quali “angeli”, utilizzata dall’Arcivescovo nel primo incontro del ciclo, Zaccuri conclude: «Armida, quando partecipa alla fondazione della Cattolica non ha ancora 40 anni: è giovane, e penso spesso a quanto si legge nella Lettera agli Ebrei, ossia che la caratteristica degli angeli è di presentarsi sotto mentite spoglie. Credo che il modo migliore per rendere omaggio alla sua vita e santità sia, oggi, ascoltare i giovani. Lo spirito dei fondatori e della fondatrice sopravvive nell’impeto di chi vuole cose che paiono impossibili e riesce a realizzarle».