Le manifestazioni per Ramy Elgaml, il ragazzo deceduto lo scorso 24 novembre nel corso di un inseguimento dei carabinieri, hanno generato un nuovo dibattito sulle condizioni dei cittadini di Milano. Una città dove le differenze tra quartieri sono nette, in particolare per chi ha una storia di emigrazione alle spalle. A raccontarne le complessità è il professor Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia delle Migrazioni all’Università di Milano.
Partiamo dal tema del degrado urbano: in quali condizioni si trova Milano?
La prima constatazione è che Milano è la città più disuguale d’Italia. Se pensiamo alla scintillante piazza del Duomo, per molti rappresenta un traguardo irraggiungibile, che genera frustrazione. Non abbiamo le “banlieue” come a Parigi, ma sacche di povertà concentrata, spesso nei blocchi di case popolari abbandonati al degrado. Qui entra in gioco anche la divisione di competenze tra Aler e il Comune di Milano, con la Regione che sembra non abbia molta voglia di investire, in una situazione che politicamente grava sul comune di Milano, che ha un’altra ispirazione politica.
Un problema che colpisce soprattutto le seconde generazioni.
Le difficoltà cominciano presto, a scuola. Gli studenti con cittadinanza non italiana sono in ritardo nel 48% dei casi contro il 16% degli italiani. Nel biennio finale delle superiori il tasso di frequenza crolla di 20 punti percentuali, attestandosi al 75% contro l’81% degli italiani, soprattutto tra i ragazzi maschi. Le ragioni sono molteplici: famiglie che non possono supportarli, tagli ai fondi per l’accompagnamento linguistico ed educativo e scuole poco attrezzate. I ragazzi arrivati per ricongiungimento familiare sono particolarmente svantaggiati, iniziando la loro istruzione in ritardo rispetto ai coetanei.
Questa marginalità si riflette poi nel mondo del lavoro?
Senza titoli di studio adeguati, le seconde generazioni faticano a trovare occupazioni di buon livello. Vivono una sorta di “integrazione illusoria”: crescono con aspirazioni simili a quelle dei loro coetanei italiani, ma spesso non riescono a realizzarle. È emblematico il dato sui giovani italiani di origine straniera che emigrano: un quinto degli emigrati negli ultimi due anni apparteneva a questa categoria, usando la cittadinanza italiana come ponte per trasferirsi all’estero.
Recentemente l’ex capo della Polizia Franco Gabrielli ha affermato che la vicenda di Corvetto è acqua fresca rispetto a ciò che vivremo in futuro.
Fare previsioni è sempre difficile, ma senza investimenti seri per l’integrazione dei giovani di origine straniera rischiamo un aumento delle tensioni. Questo problema non si risolve con la repressione, ma con progettualità. A Milano, ad esempio, ci sono tante scuole di italiano, oratori e associazioni che offrono supporto, ma bisogna fare di più. È essenziale coinvolgere i genitori, potenziare i doposcuola e creare opportunità di incontro con coetanei italiani.
Senza dimenticare la questione della casa.
L’emergenza abitativa è un problema grave. A Milano ci sono circa 20 mila famiglie in attesa di un alloggio, mentre molti appartamenti restano vuoti perché non ristrutturati. Serve un piano per l’assegnazione delle case sfitte e l’autorestauro, permettendo alle famiglie di rimettere a nuovo gli alloggi sotto supervisione. Allo stesso tempo, è necessario agire contro il degrado, demolendo e ricostruendo gli edifici non più recuperabili.
Milano ha riqualificato molti quartieri, ma come si fa ad evitarne la gentrificazione?
È cruciale mantenere la popolazione originaria nei quartieri popolari. L’edilizia pubblica deve garantire alloggi a fasce economicamente svantaggiate, anche nelle zone riqualificate. Bisogna favorire la mescolanza sociale, assegnando una quota di appartamenti a persone in difficoltà, come accade in Francia. Solo così possiamo promuovere integrazione e coesione sociale.