La storia è nota. L’8 gennaio 1948, da un’idea del cardinale Schuster, sorretto e sostenuto da due campioni del civismo milanese (Enrico Falck e Giuseppe Lazzati), nacque la Fondazione Culturale Ambrosianeum. Certo, allora si doveva innanzitutto ricostruire le case dei milanesi, crollate sotto le bombe. Ma anche rivitalizzare lo spirito dei cittadini, a lungo sopito dal conformismo e dalle privazioni del ventennio fascista, oltre che depresso dal quinquennio della guerra. Lo pensava anche il sindaco Greppi che, insieme alle case, si adoperava per ricostruire il Teatro alla Scala.
Sempre nel 1948, ma il primo giorno dell’anno, entrò in vigore la Costituzione Italiana. Anche in questo caso, la storia è nota. Dopo 18 mesi di intenso lavoro, confronto costruttivo e alta mediazione, l’Assemblea costituente (un «crogiolo ardente», per dirla con Dossetti) partorì un testo che doveva saper guardare lontano. Pure qui si doveva ricostruire. Non solo il sistema istituzionale, appena passato con il referendum del 2 giugno 1946 dalla monarchia alla repubblica, ma anche – le cose vanno di pari passo – i diritti negati, le libertà represse, l’uguaglianza calpestata.
Così, non sorprende se nella serata della ricorrenza del settantacinquesimo anno di Ambrosianeum, lo scorso 25 ottobre, si sia parlato della nostra Costituzione. Quella attuata, e, soprattutto quella da attuare. In fondo le cose vanno di pari passo: non ci potrebbe essere Ambrosianeum – realtà di approfondimento, dibattito, confronto, promozione di cultura, arte, civismo, solidarietà -, se non ci fosse una Costituzione democratica come la nostra. E forse non ci potrebbe essere Ambrosianeum in una realtà diversa da quella milanese: città densa, civica, con una governance pluralista (non solo trainata dalla politica), dove i diversi attori (pubblico, grandi corporation, professionisti, terzo settore) dialogano cercando di mettere a frutto opportunità e condividere saperi.
Il legame con la città
Ambrosianeum – a partire dal nome – ha un rapporto stretto con la città. Per trent’anni a cominciare dal 1990, con il supporto dell’editore Franco Angeli, ha addirittura pubblicato un Rapporto annuale dedicato a Milano, cercando di scavare tra i desideri, i problemi, le incertezze dei milanesi. Mettendo in luce i trend, anticipando le difficoltà e, in definitiva, ergendosi come un autorevole punto di vista critico, ma sempre costruttivo, dell’operato dell’amministrazione cittadina.
Settantacinque anni di pensiero libero, che costituiscono un bagaglio culturale importante per proiettarsi nel domani. Come farlo? Già, perché si potrebbe provocatoriamente obiettare che un luogo fisico – seppur prestigioso – nel centro di Milano per fare cultura, oggi non è necessario. In fondo è solo un puntino nella galassia della società dell’informazione che, grazie alla tecnologia, ha esponenzialmente aumentato sia il flusso informativo che ciascuno di noi riceve (anche stando seduto sul proprio divano), sia la velocità con cui, prima, valorizziamo le informazioni e, poi, le releghiamo al dimenticatoio.
Farsi domande
Al contrario, la nostra società – e, così, la nostra città – è carente di luoghi dove fermarsi, approfondire, pensare. In modo libero, non necessariamente legato alla stringente attualità. Luoghi dove è possibile astrarsi dal quotidiano, farsi domande di senso, anche spirituali. Dove, per dirla meglio, accogliere pensieri, idee, talenti. Nel 1979 Walter Tobagi sul Corriere della Sera, a proposito del ruolo dei giornalisti, si domandava provocatoriamente: «Si fa cultura, o bivacco culturale?». Vi era la consapevolezza che i giornalisti devono difendersi dagli inganni e provare a dare maggiori strumenti per far capire chi sono gli italiani.
Oggi quegli inganni li chiameremmo fake news, in cui ci imbattiamo, tutti, quotidianamente. Ecco, allora, il valore di avere spazi di approfondimento, di confronto, di elaborazione. Servono per capire il presente e, soprattutto, provare a guarire un poco da un altro dei mali di oggi: il presentismo. Visione a breve, assenza di memoria, incapacità di progettare, mancanza di prospettiva, schiacciamento sul qui e ora, pochissima spiritualità. Qui parte la sfida di Ambrosianeum e delle realtà che promuovono cultura in generale. Ne abbiamo ancora bisogno. Ed è meglio farlo guardandosi negli occhi e stringendosi la mano.