Ogni anno la parrocchia Sant’Arialdo di Baranzate organizza una giornata dal titolo “La comunità fa festa con l’anziano”, ma da tempo mancano i volontari per preparare il pranzo per tutti. Quando Santo, un detenuto di Bollate che quando è fuori frequenta la parrocchia, ha saputo che don Paolo Steffano l’ultima volta aveva dovuto pagare i cuochi, non ha esitato a dire: «Veniamo noi a darvi una mano». E così è stato. Si è rivolto ad alcuni compagni, che come lui escono al mattino a lavorare e rientrano la sera (in regime di articolo 21), e ha proposto loro di preparare il pranzo per gli anziani della parrocchia. «Erano entusiasti dell’evento», assicura Santo. «Allora abbiamo chiesto alla direzione del carcere di autorizzarci a organizzare l’evento e ha accolto subito la nostra domanda». La squadra di chef composta da Santo, Francesco, Fabio, Damiano, Alessandro, Dino e Doriano era pronta. «All’inizio eravamo preoccupati perché, pur cucinando tra di noi, nessuno aveva mai fatto da mangiare per 100 o 200 persone. Ma nel giro di qualche giorno abbiamo chiesto consigli a qualcuno fuori che lavora nei ristoranti e poi uno di noi ha coinvolto anche la moglie che fa la volontaria in parrocchia. Quindi ci siamo rimboccati le maniche e ci siamo arrangiati».
«Quando si lavora insieme per qualcosa di utile – continua Santo – non ci si sente estranei e per noi questo è stato bellissimo. Quando siamo arrivati in parrocchia ci siamo dati subito da fare, ma per iniziare a preparare siamo usciti il sabato pomeriggio, sacrificando un giorno lavorativo e qualcuno rinunciando addirittura ad andare a casa dalla famiglia. La domenica mattina siamo usciti alle 8 e siamo rimasti in parrocchia tutto il giorno fino alla sera a preparare, servire ai tavoli e pulire tutto».
Al pranzo hanno partecipato in 120 persone, tra anziani, famiglie e ragazzi. Il menù era ineccepibile, a parte le torte portate dai parrocchiani, i cuochi hanno preparato antipasto, lasagne al forno, arrosto ripieno, patate arrosto, insalta e frutta. Anche gli adolescenti hanno servito ai tavoli: «È molto bello vederli impegnati nei confronti delle persone anziane». Santo li ha visti crescere, per lui la comunità parrocchiale di Sant’Arialdo «è come una seconda famiglia».
«I ragazzi erano a loro agio e la gente ci ha accolto bene, allontanando stereotipi e pregiudizi verso i detenuti. Questo mi conferma ancora una volta che la non conoscenza allontana sempre di più il carcere, al contrario quando ci sono opportunità come queste le persone colgono la nostra sincerità e la voglia di costruire qualcosa insieme. Queste iniziative sono importanti perché avvicinano le persone al carcere e il carcere si apre all’esterno, al territorio. Per noi è una grande forma di riscatto che permette attraverso questi gesti di sanare le fratture con la società e accorciare le distanze, perché da soli non riusciamo a raggiungere questi obiettivi. È un evento che ha significato molto anche dal punto di vista umano e quando compiamo questi gesti pensiamo alle persone alle quali abbiamo recato un danno».
«Per la festa – dice Santo – abbiamo lavorato tanto, sui nostri volti però non c’era la fatica, ma l’amore e la riconoscenza per l’opportunità che ci è stata data. È quello che ho visto anche negli occhi dei miei compagni. Dentro di noi abbiamo tanto da donare all’altro ed esperienze come queste non dovrebbero mancare a nessuno, sono opportunità per dire: “Io ci sono”. In un momento difficile come quello che sta attraversando oggi il nostro paese per la crisi, noi abbiamo fatto risparmiare 300 o 400 euro alla parrocchia che può usare quei soldi per qualcosa di utile per i ragazzi o per chi ha bisogno».
La disponibilità a ripetere l’esperienza, magari anche in altre parrocchie, non manca. «Non vediamo l’ora di partecipare ad altre iniziative simili e a spenderci per gli altri», assicura Santo. «Da anni vengo a Sant’Arialdo e sono riuscito a portare qui anche altri ragazzi che hanno dimostrato di essere uguali a me. Fino a quando una persona viene chiusa in cella e “si butta via la chiave”, come si dice oggi, non serve a nessuno, perché è un danno non solo alle persone, ma alla società intera».