Amore incondizionato, condivisione, responsabilità, lavoro. Sono questi i principi educativi su cui si basa il progetto «Palla al centro» avviato nel 2019/20 da Fondazione Francesca Rava a favore dei ragazzi dell’istituto di pena minorile Beccaria. Lo spiega la presidente Mariavittoria Rava, aprendo una mattinata di confronto presso Dentos (piazza Affari 1, Milano) in vista della mostra «L’anima nel colore», che sarà inaugurata martedì 30 maggio alle 18 nella basilica di San Celso (corso Italia 39, Milano). La mostra resterà aperta fino al 2 giugno, dalle 10 alle 19. Le opere esposte sono state realizzate dai ragazzi che hanno partecipato al laboratorio di arte gestito dall’artista e docente Albania Pereira e dallo scultore in vetro Jean Blanchaert.
Il segreto è la fiducia
La carta vincente di Fondazione Rava-NPH Italia è che «con i volontari svolgiamo attività pratiche per e con i minori», dice Rava, «partiamo dalla relazione umana, diamo fiducia». È fondamentale infatti «contaminare dall’esterno» il carcere. Ora sia i ragazzi, sia il personale del Beccaria credono al valore del volontariato, al punto che quando qualcuno dei ristretti esce chiede di dare una mano in Fondazione.
Il messaggio forte che viene da «Palla al centro» è che «si può ricominciare», assicura Rava. Lo confermano le stesse opere d’arte, che sono «pezzi unici», come pure i ragazzi che le hanno create. È importante offrire ai ragazzi la possibilità di esprimersi in altre forme per far emergere «la ricchezza interiore», dice Raffaella Messina, vicedirettrice al Beccaria. «Anche i ragazzi molto fragili si sono espressi col colore e il pennello, che li hanno fatti stare meglio». Ed è ancora Rava a ricordare il commento di un giovane artista che alla fine del suo lavoro si è fermato ad ammirare la tela e ha chiesto: «Ma questo l’ho fatto davvero io?». Sono loro i primi a stupirsi dei risultati, anche perché nessuno si era mai cimentato nella pittura.
Secondo Jean Blanchaert che ha curato la mostra e da 35 anni crea le sue opere, la differenza la fa anche la qualità del materiale messo a disposizione dei giovani artisti e ammette di essersi stupito nel vedere pennelli, colori e tele di alta qualità dati in mano a chi non si era mai dedicato all’arte.
Gli ultimi degli ultimi
Chi sono oggi gli ospiti ristretti al Beccaria se lo chiede Anna Lucchelli, presidente della Camera minorile di Milano. «Sono gli ultimi degli ultimi, ragazzi per i quali non è stato possibile attivare progetti in maggiore libertà, magari in comunità. Molti di loro hanno problemi personali, così profondi che richiederebbero interventi terapeutici, non solo restrittivi». Pur ammettendo il rischio che i ragazzi, una volta usciti, si troveranno in un mondo difficile e ostile, riconosce la bontà del progetto “Palla al centro” e sottolinea che «attività espressive (come pure quelle sportive) non sono un di più, ma costitutive in questa età e capaci di offrire spinte trasformative; permettono la conoscenza di sé; i ragazzi incontrano adulti volontari al di fuori dei ruoli istituzionali». E non è poco.
Nell’istituto minorile il 75% degli ospiti sono sotto custodia cautelare e solo il 25% in fase di esecuzione di pena. «A volte le misure cautelari – spiega Lucio Camaldo, docente di diritto processuale penale alla Statale di Milano, ma da sempre attento alla giustizia minorile – sono considerate come educative, ma non è così». Anche se spesso gli agenti di polizia penitenziaria si trovano a svolgere un ruolo educativo.
Dignità da tutelare
Adolfo Ceretti, professore ordinario di Criminologia presso l’Università Bicocca, ritiene fondamentale «tutelare la dignità delle persone», anche minori. Cita l’art. 1 del decreto 121/2018 alla cui redazione ha collaborato e che invita a «consentire l’espressione della personalità del soggetto» che permette di «riappropriarsi della vita». I giovani hanno poca capacità riflessiva e tanta capacità di agire, anche per questo non sempre si rendono conto delle azioni che commettono e delle loro conseguenze. Forse anche per questo a Ceretti piace definire i minori ristretti al Beccaria «adolescenti in conflitto con la legge». Secondo Ceretti occorre trovare un equilibrio tra «cura e punizione», creando tra i due fattori un «circolo virtuoso».
Abania Pereira, artista di origini venezuelane, con i suoi giovani allievi ha fatto miracoli. Da anni conduce laboratori d’arte con successo tra i ragazzi che vivono in contesti disagiati. «Le scuole d’arte di quartiere sono aperte a tutti – assicura –, non a chi lo merita. L’arte è uno stato dell’essere e trasforma la persona mentre realizza l’opera». È ciò che è avviene anche dietro le sbarre del Beccaria: «Se il processo è valido, il risultato è valido». Quando lavora con i ragazzi «sta un passo indietro», spiega Blanchaert: non si impone, non dice loro cosa disegnare, cosa dipingere, quali pennelli o colori usare. Insegna la tecnica e poi li lascia liberi di creare. E le opere d’arte che realizzano sono di innegabile bellezza.