Per rappresentare il tempo inedito e sfidante che stiamo vivendo, l’immagine più forte, più efficace e più reale, a mio avviso, è ancora quella del cambiamento d’epoca proposta da papa Francesco. Una trasformazione – e al tempo stesso una transizione – generata dall’interagire di alcuni fenomeni molto rilevanti: il nuovo disordine mondiale e «la terza guerra mondiale a pezzi», la vorticosa crescita delle diseguaglianze e le sempre maggiori difficoltà di tenuta dei sistemi di welfare, la questione ambientale e in particolare il climate change, la rivoluzione tecnologica digitale e quella demografica, la presenza di imponenti flussi migratori in ogni area del pianeta, la crisi delle democrazie, l’enorme crescita incontrollata della finanza, il cambio di paradigma nel campo dell’energia e – buona ultima, ma non ultima – l’emergenza sanitaria, sociale ed economica generata dalla pandemia mondiale da Covid-19.
Negli ultimi decenni il condensarsi e l’assommarsi di tutte queste dinamiche interrelate e l’incapacità di governarle con equità, giustizia e rispetto del creato ha reso tutti più vulnerabili, più fragili e più insicuri. In un contesto come questo occorre combattere innanzitutto la disillusione, la diffidenza e l’isolamento che rendono difficile ogni ripartenza. Se però si affinano le nostre capacità di ascolto, emergono domande assai interessanti, si avverte il bisogno di un clima più positivo, cresce la domanda di un diverso modo di stare insieme.
È su questo che ci si deve misurare: pare ormai in via di esaurimento il tempo dell’espansione, dell’individualismo, dello slegamento. Può essere che ciò ci spinga verso (e faccia prevalere) il tempo della rabbia, del risentimento, della chiusura. Ma può essere invece che ciò costituisca una straordinaria occasione per ritessere, nel segno della solidarietà e dell’apertura, il vivere associato delle nostre comunità che negli anni si è sfrangiato.
Occorre dunque, da una parte, agire politicamente e chiedere e vigilare che dall’Europa alle città si operi sapientemente, efficacemente e in modo partecipativo e condiviso, per ridurre le disuguaglianze e per tracciare itinerari di sviluppo umano e sostenibile e, dell’altra, lavorare per ricostruire la qualità del nostro tessuto sociale, a partire dalla cura della persona e dei territori.
Questa è la tesi centrale della stagione congressuale che le Acli milanesi stanno concludendo in questi giorni. La nostra associazione si sta interrogando su quali azioni mettere in campo nei prossimi anni, mai da soli ma sempre insieme gli altri, per raccogliere questa sfida.
Sul come farlo il nostro “vangelo sociale” dell’ultimo lustro (e per quelli a venire), la Laudato si’, ci viene in soccorso; in particolare al punto 231 ci aiuta meglio a comprendere quale debba essere il nostro rinnovato approccio. «L’amore per la società e l’impegno per il bene comune sono una forma eminente di carità, che riguarda non solo le relazioni tra gli individui, ma anche le macro-relazioni ovvero i rapporti economici e politici. In questa prospettiva, insieme all’importanza dei piccoli gesti quotidiani, è necessario pensare grandi strategie che arrestino efficacemente il degrado ambientale e sociale e incoraggino una cultura della cura che impregni tutta la società». Questa prospettiva francescana unifica e nobilita ogni nostra azione personale e associativa e mette sullo stesso piano di importanza i mille mestieri delle Acli, i mille fiori del nostro campo settantacinquennale.
Da cento porte centinaia di migliaia di persone entrano nella nostra Diocesi nel nostro sistema associativo e di imprese sociali; ma solo sapendocene prendere cura le donne e gli uomini che incontriamo potranno diventare nostre amiche e nostri amici, nostre compagne e nostri compagni di strada, disposti a costruire insieme a noi esistenze più piene di vita e di verità.
Questo è e dovrà essere il nostro principale impegno; anche il mio, ora che tornerò a essere una semplice aclista ambrosiano. Per chi scrive, infatti il trentunesimo congresso segna il termine del servizio come presidente. È stato per me un onore rappresentare nel ruolo più importante l’associazione nella quale sono cresciuto come persona e come lavoratore sin dagli anni giovanili. Ho provato a dare il meglio di me confidando ogni giorno nell’aiuto del buon Dio. L’augurio sincero che rivolgo, in particolare al gruppo dirigente (e al nuovo primus inter pares che lo coordinerà), è quello di continuare a tenere unite e in dialogo le diverse generazioni e di compiere un cammino comune rendendo la nostra associazione sempre più all’altezza del futuro che ci attende e che non è già scritto.