Sono oltre 20.200 i minori stranieri non accompagnati presenti attualmente in Italia. Sono bambine e ragazze, ma soprattutto bambini e ragazzi che hanno lasciato il loro Paese da soli, affrontando viaggi lunghissimi e pericolosi senza persone adulte di riferimento accanto a loro.
C’è chi lo ha fatto perché spinto dai genitori e chi di sua volontà, mosso dal desiderio di cercare una vita migliore per sé e per aiutare la famiglia. Ma c’è anche chi è dovuto scappare, per fuggire da situazioni di guerra e violenza. Come Safi, oggi ospite di Casa Francesco, la struttura di accoglienza della Casa della Carità dedicata ai minori stranieri non accompagnati. La sua storia la raccontano operatrici e operatori di Casa Francesco: «La storia di Safi inizia in Somalia in una famiglia tanto grande, erano ben 7 fratelli, quanto povera. Così povera da non riuscire a provvedere alle cure dei figli in caso di malattia. È così che Safi ha perso due dei suoi fratelli…».
In fuga dalla violenza
Proseguono: «Anche se lui non ha problemi di salute, non si può dire che la sua sia un’infanzia serena: ben presto, infatti, deve rinunciare a studiare, per aiutare il padre nel lavoro. È dietro il bancone di un piccolissimo negozio dove si vende di tutto, che Safi diventa adolescente. Un’adolescenza segnata da una tragedia, che cambierà per sempre la sua vita. Safi ha 15 anni quando il padre viene ucciso davanti ai suoi occhi da uno zio dopo una lite furiosa: il papà del ragazzo si era infatti opposto alla pressante richiesta del fratello, che voleva arruolare Safi nel gruppo armato di cui faceva parte. Il ragazzo non ci pensa due volte e decide di scappare subito dalla Somalia per sfuggire a quella violenza che non rientra per niente nel suo carattere pacifico.
«Safi non parla quasi mai del suo viaggio per arrivare i Italia e i dettagli che conosciamo derivano dalla deposizione che ha dovuto fare in tribunale per ottenere l’asilo in Italia», spiegano educatori ed educatrici di Casa Francesco. Quello che si sa è che Safi, da solo, arriva in Etiopia, dove resta in prigionia per un mese; da qui, passando per il Sudan, arriva poi in Libia, dove, come succede a quasi tutte le persone migranti, viene di nuovo imprigionato perché non ha i soldi per proseguire il viaggio. In Libia rimane per due lunghi anni, durante i quali lavora incessantemente per mettere da parte i soldi per la traversata del Mediterraneo. Per due volte prova a partire senza successo. Alla terza riesce a salire su una piccola barca, sulla quale sono stipate oltre 500 persone.
Safi barca a Lampedusa nel 2022. Sono passati quasi 3 anni da quando ha lasciato la Somalia.
Dalla Sicilia a Casa Francesco
Dapprima Safi viene accolto in Sicilia, la regione che ospita il maggior numero di minori stranieri non accompagnati, e poi viene trasferito a Como. Qui però non ci vuole stare e così scappa per arrivare a Milano. In città non conosce nessuno e non sa dove andare; per questo dorme per due notti nel piazzale della stazione, fino a che qualcuno gli suggerisce di rivolgersi al servizio del pronto intervento del Comune di Milano, che lavora in convenzione con diverse organizzazioni del terzo settore, tra cui la Casa della Carità, per accogliere i minori stranieri non accompagnati che si trovano sul territorio cittadino, all’interno del Sai – Sistema di Accoglienza e Integrazione.
Finalmente, dopo quasi 3 anni di viaggi, spostamenti e insicurezza, Safi è in un posto sicuro dove, grazie anche al suo carattere bonario e solare, stringe in breve tempo amicizia con gli altri ospiti. Qui può riprendere in mano la propria vita, a partire da tutte le pratiche per ottenere lo status di rifugiato. Avere i documenti è infatti la preoccupazione più grande per i minori stranieri non accompagnati, che devono riuscire a ottenerli entro il compimento del 18° anno, quando – salvo proroghe – devono lasciare il progetto di accoglienza. Essere senza documenti significa, per esempio, non avere accesso al sistema sanitario o poter attivare un contratto di lavoro.
A Casa Francesco Safi si sente in pace, ma il suo pensiero va continuamente alla mamma e alla famiglia che ha dovuto lasciare così in fretta. Per lenire la mancanza e sentirsi più vicini si sentono tutti i giorni, anche più volte al giorno.
Ma le sfide per lui non sono ancora finite: un giorno Safi crolla improvvisamente a terra. Fortunatamente in quel momento si trova nell’appartamento, dove sono presenti gli altri compagni e gli operatori, che chiamano immediatamente l’ambulanza. Un’infezione ai denti ha provocato una sepsi. La situazione è grave: Safi viene trasportato d’urgenza in ospedale, dove viene intubato, rimanendo ricoverato per molto tempo.
Verso il futuro
«Per non lasciarlo solo un istante, noi operatori e operatrici abbiamo fatto i turni in ospedale. E anche gli altri ragazzi accolti hanno chiesto di potergli stare accanto: non volevano che Safi si svegliasse senza nessuno accanto e che provasse di nuovo quella solitudine che l’ha accompagnato per i due anni di viaggio e che anche loro conoscono bene», raccontano.
Safi oggi sta bene ed è tornato a casa, anche se non riesce ancora a mangiare cibi troppo duri e porta sul viso e sul collo i segni del periodo in ospedale. Dovrà anche continuare ad andare dal dentista per rifare tutti i denti: «Purtroppo i soldi che l’ente pubblico passa per le visite specialistiche non bastano per coprire interventi così costosi. Ma di questo si fa carico la Casa della Carità, grazie al sostegno di donatrici e donatori», spiegano.
Nonostante tutte le difficoltà che ha passato nella sua giovane vita, Safi non si è lasciato abbattere: continua ad andare a scuola di italiano e sta per finire un tirocinio presso una trattoria. Ha preso così sul serio il suo lavoro che la trattoria, non potendo assumerlo, ha promesso di metterlo in contatto con altri ristoranti dove lavorare. Va molto d’accordo con tutti gli altri ragazzi di Casa Francesco, con cui gioca a Fifa e a cui prepara sempre il suo piatto forte: la pasta al pesto con le zucchine. Lui non riesce ancora a mangiarla, ma la prepara con piacere per i suoi amici. Insieme poi festeggiano le ricorrenze e i compleanni ed è rimasto estasiato quando, per la festa di fine Ramadan, il loro custode ha preparato il cous cous con le verdure. «Finalmente qualcosa di buono che riesco a mangiare!», continuava a ripetere riempiendosi il piatto.
Raccontano ancora gli operatori: «Il lavoro principale che stiamo facendo con lui è quello di responsabilizzarlo di più sul suo futuro, perché vive molto alla giornata, dice sempre che “ci sono 7 Safi per 7 giorni” e che non sa cosa farà domani. Pensiamo che questa incertezza sui piani futuri sia un po’ dovuta a tutto quello che ha passato. Nel viaggio e nella malattia sapeva di esserci quel giorno, ma non sapeva cosa gli sarebbe capitato il giorno dopo. Il nostro compito di educatori è quello di fargli capire che non è solo. Tutti i ragazzi arrivati in Italia senza una figura adulta hanno bisogno di qualcuno che li ascolti e che sia presente nella loro quotidianità, perché non hanno nessuno che dica loro “Ti aspetto per cena”, “Bravo”, “Mi fido di te”. Casa Francesco esiste proprio per questo: per farli sentire a casa».