«Evitare che la somma disponibile del Fondo editoria venga ulteriormente ridotta e trovare il modo di poterla integrare con la prossima legge di stabilità». A questi «due grossi problemi» sarà dedicata l’assemblea nazionale del mondo editoriale e dell’emittenza cooperativa e non profit che Fnsi, Articolo 21, Mediacoop, Fisc e Comitato per la libertà di informazione e la cultura hanno convocato a Roma per il 28 settembre (ore 10.30-14, Sala del Mappamondo della Camera dei deputati). «La situazione attuale del Fondo editoria – spiega Mediacoop sul proprio sito – prevede una consistenza, per il 2012, decisamente insufficiente a coprire il fabbisogno necessario per l’erogazione dei contributi 2011. A ciò si aggiunga che, per gli effetti della recente manovra economica e finanziaria, alla fine di settembre la presidenza del Consiglio potrebbe introdurre nuovi tagli».
Ne parliamo con Francesco Zanotti, presidente della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici).
La crisi economica continua a far sentire la sua morsa. Com’è la situazione sul territorio vista dall’“osservatorio” delle testate Fisc?
La crisi si avverte da Nord a Sud, in tutto il Paese. Il lavoro scarseggia, ma in maniera particolare non si creano nuovi posti per i giovani che sono costretti ad accontentarsi, quando va bene, di lavori precari e poco remunerati. Le famiglie continuano nel loro compito improprio di ammortizzatore sociale, anche se in questo modo si prolunga la permanenza dei figli accanto ai genitori. A volte si ha l’impressione che in periferia non ci sia l’esatta percezione della crisi in atto e si confida sulla solita buona stella che accompagna da sempre l’Italia. La gente, specie in provincia, ha la sensazione che i problemi del territorio non interessino più di tanto.
In che misura la crisi si ripercuote sui giornali della Fisc?
Fra le tante spese da tagliare, il giornale può essere il primo a rimetterci. Grazie al legame di vecchissima data fra i nostri giornali e i lettori il rapporto in essere è ancora saldo. Questo legame fa della carta stampata locale un baluardo dell’informazione. Il periodico diocesano è visto come un luogo in cui i cittadini si ritrovano e si confrontano su temi concreti come la viabilità o l’istruzione, solo per citare qualche esempio. Oppure una ‘piazza’ in cui si condividono e confluiscono le storie più significative, ad esempio i racconti delle famiglie con un ammalato grave in casa e le esperienze forti come la recente Gmg di Madrid o i numerosissimi campi-scuola estivi che coinvolgono ogni estate migliaia di giovani. Grazie a questo rapporto che va avanti da generazioni, le copie dei nostri giornali ancora tengono. Anzi, in alcuni casi sono persino in controtendenza.
Il momento attuale richiede sacrifici un po’ a tutti. Di certo i tagli previsti dalla manovra finanziaria non aiutano…
La situazione si presenta assai complessa. I contributi all’editoria sono sulla graticola da tempo. Ogni anno vengono ridotti e da quando non esiste più il ‘diritto soggettivo’ in capo all’editore non c’è più certezza del loro ammontare. In questa condizione risulta complicato programmare qualsiasi attività. Si è da tempo in balia di manovre economiche e di leggi di stabilità messe insieme per racimolare denaro in ogni direzione. L’opinione pubblica li vede soltanto come un’elargizione, una forma di assistenzialismo. Ci sono storture che vanno di sicuro rettificate, ma non si può dimenticare che l’intervento pubblico nel campo dell’editoria ha origini assai lontane e fu istituito per favorire il pluralismo nel campo dell’informazione, un bene a cui nessuno dovrebbe mai rinunciare. Aggiungo anche, ed è bene non dimenticarlo mai, che i nostri giornali nel loro complesso, nonostante il loro milione di copie a settimana, percepiscono briciole di contributi.
Anche nell’informazione, quindi, ad essere penalizzati sono sempre i più deboli…
L’impressione, purtroppo, è questa e corrisponde, anche in questo caso, alla realtà. Ripeto spesso che ci sono due livelli d’informazione. Uno è quello del cosiddetto “circo mediatico”, quello che comprende i ‘grandi’ mass media. L’altro è quello più prossimo alla gente, quello che racconta le vicende dei nostri mille campanili. Questi due mondi sovente non dialogano fra loro, ma entrambi rappresentano il nostro Paese. Non credo che si voglia mettere il silenziatore a una parte dell’Italia.
I giornali Fisc sono da sempre considerati “voce di chi non ha voce”. Che futuro li attende senza contributi né agevolazioni?
Il rischio evidente è che alcuni dei nostri chiudano i battenti oppure che si vedano costretti a ridimensionarsi, come è accaduto un anno fa con l’incremento improvviso del 121% delle tariffe postali, a campagne abbonamenti già chiuse. In un certo modo è anche questo un bavaglio, “il bavaglio al territorio”.
La Fisc sta pensando a soluzioni nuove e adatte alle diverse realtà?
Da tempo ci diciamo che le nostre aziende editoriali devono ragionare come se i contributi statali non esistessero. Non è semplice intraprendere questa strada senza un adeguato cammino di preparazione. Di certo ci batteremo fino all’ultimo perché si evitino gli sprechi e, con in conseguenti risparmi, si sostenga chi merita.