Dopo un paio di passaggi a vuoto e qualche schermaglia interna agli schieramenti di partito, la Commissione parlamentare di Vigilanza ha nominato i sette nuovi membri del nuovo Consiglio di amministrazione della Rai di sua spettanza. A quanto pare si è rischiato il commissariamento, data l’impuntatura di qualche esponente politico; e chi ha provato a esprimere un voto indipendente ne ha pagato le conseguenze. Ma tant’è: una Rai commissariata sarebbe stata troppo lontana dall’interesse dei partiti, ben attenti a rispettare nella composizione del Cda l’attuale equilibrio parlamentare.
Come non era difficile prevedere, l’apertura del presidente della Commissione Sergio Zavoli all’invio del curriculum con l’autocandidatura aperta a chiunque ha avuto soltanto l’effetto di cerare qualche illusione in taluni aspiranti e di provare a nobilitare una procedura di scelta il cui esito era stato in larga parte già scritto dai partiti. E così ciascuno ha eletto i “suoi”, compreso il Pd che aveva invitato un gruppo di associazioni impegnate in ambito civile a esprimere due candidature, poi sostenute fino alla nomina.
Sarebbe stato interessante se la Commissione parlamentare avesse davvero letto e valutato i circa 300 curricula ricevuti e ancora più apprezzabile sarebbe risultata la convocazione dei candidati ritenuti idonei per i requisiti professionali e le competenze maturate. Ma una simile procedura sarebbe stata contraria alle logiche spartitorie che da sempre determinano la composizione del Cda Rai e quindi non se n’è fatto niente. Perché, allora, è stata lanciata la chiamata alle autocandidature?
A determinare una svolta non è bastata la mossa d’anticipo del presidente del Consiglio Mario Monti, che – anche in qualità di Ministro delle Finanze ad interim –già da qualche settimana aveva designato per la Presidenza e per la Direzione generale della Rai rispettivamente Anna Maria Tarantola, vicedirettore generale della Banca d’Italia, e Luigi Gubitosi, ex amministratore delegato di Wind. Lo stesso Monti aveva poi indicato quale rappresentante del Ministero dell’Economia nel Cda Marco Pinto, dichiarandosi impegnato a sostenere “modifiche di governance” ai vertici della Rai e aveva invitato espressamente le forze politiche e il Parlamento ad «adottare criteri elevati di professionalità e indipendenza per individuare gli altri membri del Cda».
A questo invito le forze politiche che compongono la Commissione di Vigilanza hanno risposto a modo loro. Anzi, per rintuzzare l’invito di Monti marcando ancora una volta il territorio, alcune di esse hanno confermato tre membri che già sedevano nel Cda: Rodolfo De Laurentiis (eletto dal Terzo Polo), Antonio Verro e Guglielmo Rositani (eletti Pdl). Soltanto apparentemente “nuovi” sono Antonio Pilati (eletto dal Pdl), già commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e componente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, e Luisa Todini (eletta da Pdl-Lega), già europarlamentare e consigliere di amministrazione dell’Università Luiss.
Le due vere novità sono rappresentate da Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi, elette dal Pd secondo il meccanismo di cui sopra. Benedetta Tobagi è una giovane giornalista, che collabora con la Repubblica e ha condotto alcuni programmi radiofonici; soprattutto, è figlia di Walter Tobagi, giornalista ucciso dalle Brigate Rosse negli anni di piombo. Gherardo Colombo non ha bisogno di presentazioni: ex magistrato del Pool Mani pulite, come pm della Procura di Milano ha condotto altre celebri inchieste (delitto Ambrosoli, Loggia P2, Imi-Sir), lasciando la magistratura nel 2007 da consigliere di Corte di Cassazione, per diventare presidente di Garzanti Libri e per impegnarsi a 360° nella diffusione della cultura delle regole attraverso la pubblicazione di libri e un fitto calendario di incontri, soprattutto nelle scuole.
Proprio su di lui si appuntano le speranze di chi ancora crede che si possa rifondare la Rai a partire dalla ridefinizione di alcune regole fondamentali e dal semplice rispetto di molte di quelle che già sono in vigore ma che troppo spesso restano lettera morta.
Se qualcuno vuole formarsi un’opinione personale sull’adeguatezza dei nuovi membri del Cda al nuovo incarico, può fare riferimento al Testo Unico della Radiotelevisione, che all’art. 49 comma 4 prevede che possano essere eletti membri del Cda della Rai «i soggetti aventi i requisiti per la nomina a giudice costituzionale». Ossia i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinarie e amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo vent’anni di esercizio. Ma anche «persone di riconosciuto prestigio e competenza professionale e di notoria indipendenza di comportamenti che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, giuridiche, umanistiche o della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali».
Ai nuovi consiglieri, nel nostro interesse di spettatori, non possiamo che augurare buon lavoro. In tutti i sensi.