La prima cosa che mi ha colpito in questo numero di Oasis è la sezione delle foto della Siria, prima e dopo la guerra. Tra queste foto, una in particolare ha attratto la mia attenzione: un ponte, costruito dai francesi all’epoca del mandato e distrutto durante i combattimenti nel maggio di quest’anno. Perché proprio il ponte? L’analogia riesce fin troppo semplice, ma se disseppelliamo la sua struttura profonda riusciamo a coglierne la validità: Oasis costruisce ponti. Ponti tra le nostre teorie e la realtà dei fatti, che si impone dimostrando la debolezza dei nostri schemi interpretativi tradizionali. È la debolezza della cultura occidentale (in primis europea) che si esprime soprattutto nell’incapacità di orientare i processi – oltre che di comprenderli – e nella diffusione di stereotipi, di luoghi comuni, di un certo grado di «gregarismo intellettuale» vittima, come dice Henri Hude nel suo saggio, del politicamente corretto per cui «è proibito pensare». Qui risiede tutta la secondarietà dell’Europa di cui tante volte ha scritto Rémi Brague e che non a caso il cardinale Angelo Scola richiama nel suo ultimo editoriale. L’idea di Brague è che la proposta culturale che l’Europa fa al mondo è una proposta in cui nemmeno essa stessa crede più: l’umanesimo ateo, ormai giunto al capolinea.
«Religioni sul crinale, tra secolarismo e ideologia»: ma perché le religioni dovrebbero rotolare verso l’ideologia? Lo storico austriaco Otto Brunner agli inizi degli anni ’50 scrisse un saggio intitolato «L’epoca delle ideologie. Inizio e fine». Affermare che l’epoca delle ideologie abbia avuto un inizio e una fine non significa affatto dire che le ideologie siano finite per sempre. Siamo, infatti, in una stagione che vive di scampoli di ideologie passate e che, forse inconsapevolmente, ne cerca di nuove. È questo vuoto ideologico che apre la via a comportamenti in superficie dettati prevalentemente o soltanto dalla religione; ed è in questo vuoto che la religione rischia di rotolare verso l’ideologia, distruggendo i ponti, anziché costruirli.
Per evitare questa deriva sapientemente il cardinale Scola sottolinea l’importanza dell’interpretazione culturale della fede: in un una stagione in cui le grandi potenze traballano e prende piede una nuova forma di bipolarismo (tra economia e politica), abbiamo bisogno di avviare processi. Proprio l’interpretazione culturale della fede permette di avviare processi che costruiscano ponti e al tempo stesso innovino, grazie a un ripensamento della dicotomia spazio-tempo, come ha ricordato papa Francesco nell’Evangelii gaudium (numero 223): «Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente (…). Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi». Noi dobbiamo avviare processi più che occupare spazi. Credo che questa conclusione suggelli perfettamente il cammino di Oasis: avviare processi e costruire ponti.