di Vittorio CHARI
Appartengo alla generazione di chi è cresciuto all’oratorio, uno dei tanti che nel passare degli anni hanno considerato una fortuna averne calpestato i cortili polverosi, frequentato la sala cinematografica dove i film in bianconero erano opportunamente “tagliati”, le commedie e le operette erano per soli maschi, si andava a messa la domenica alle sette del mattino per giocare la partita di calcio alle 10 e il grest si chiamava colonia estiva. Era semplice la vita nell’oratorio degli anni Cinquanta!
Ci si accontentava di poco ma quel poco non lo trovavamo solo nelle numerose attrazioni che c’erano ma nel prete che ci attendeva, che ci chiamava per nome, in alcuni laici, catechisti e animatori del gioco, ai quali bastava la pedagogia del “fazzoletto e della Golia” per conquistare noi ragazzi.
Il fazzoletto era per consolare o per asciugare il sudore, medicare le ferite di una caduta o di un pugno arrivato per sbaglio; la Golia era una caramella data in premio a chi si comportava bene! Così venivano istruiti i giovani dell’oratorio di Caronno Pertusella dal loro parroco, che li mandava anche in zone di periferia di Milano, dove crescevano come funghi i villaggi di operai immigrati, che per i figli avevano nell’oratorio uno spazio sicuro di divertimento e di amicizia.
Il mio prete all’oratorio di Treviglio, chiamato “dei morti” perché un tempo c‘era il Lazzaretto, aveva inventato “il bagnanas”, una bevanda molto economica per i pochi soldi che avevamo in tasca come “paghetta” domenicale. Consisteva in un bicchiere d’acqua con un paio di cucchiai di magnesia che “busciando” ti bagnava il naso. Altri tempi! Oggi non sarebbe possibile l’essenzialità di allora, ma l’oratorio rimane pur sempre un valido punto di riferimento se al suo interno c’è almeno “un prete per chiacchierar”, come invocava Celentano nella sua canzone “Azzurro”, e dei giovani o degli adulti che stanno volentieri con i ragazzi: “I giovani, diceva don Bosco, hanno veramente bisogno di una mano benefica che prenda cura di loro, li coltivi nella virtù e li allontani dal vizio… [salvo rare eccezioni] hanno sotto la scorza e le scorie dell’ineducazione e della dissipazione, il cuore buono e l’animo riducibile se presi dal verso loro e guidati dal sistema cristiano della bontà”.
Hanno bisogno di educatori, tutti i giovani ne hanno bisogno e l’oratorio risponde ancora oggi a questa loro esigenza. Essi non possono crescere da soli, lasciati liberi, “in completa e totale autoeducazione”.
Devono avere accanto educatori disposti a scendere in campo con loro per giocare la difficile partita educativa. “Educatori e giovani sono sulla stessa barca: si salvano o annegano insieme”. Se quanto scrive Don Francesco Motto vale per gli educatori, a maggior ragione vale per le famiglie, che si devono alleare con l’oratorio, per aiutare i ragazzi a crescere nella libertà e nella responsabilità, nella capacità di dono, nell’uso sapiente del tempo libero, nella fedeltà agli impegni di scuola o di lavoro, in un cammino di promozione umana e religiosa, che dia ali ai loro orizzonti, evitando di volare basso, terra terra, per paura di essere lasciati dai ragazzi e dalle ragazze quando si parla di Dio o di Chiesa.
Le situazioni sono cambiate ma quello che rende ancora appetibile la proposta “Oratorio” è questa presenza di un prete, “padre, fratello e amico”, con a fianco educatori ed educatrici, in un buon rapporto con le famiglie coinvolte, per quanto è possibile, nella vita dell’oratorio: nel campo della catechesi o dell’animazione liturgica, nella gestione amministrativa o nell’organizzazione delle feste, in un doposcuola o in opere di carità, missionarie, nello sport o nel teatro… Sarebbe già importante l’avviare e sostenere il ragazzo e la ragazza nel frequentare uno spazio che la Chiesa ben volentieri mette a disposizione dei giovani e delle famiglie, soprattutto in questi tempi di emergenza educativa.