Ho una certa età e, spesso, come quelli di “una certa età” rivado alle memorie del passato per comunicarle a chi mi ascolta. È lo stile educativo della Chiesa che fa “memoria” anche nella liturgia dell’Eucaristia, una memoria autentica, che si attualizza sempre nella presenza di Cristo,”vivo” sull’Altare.In questi giorni, ho riletto alcune delle “Ultime Lettere dei condannati a morte della resistenza italiana”, considerato all’uscita nel 1963, uno dei libri di formazione, che mettevano i giovani di fronte alle grandi questioni etiche. Ho una certa età e, spesso, come quelli di “una certa età” rivado alle memorie del passato per comunicarle a chi mi ascolta. È lo stile educativo della Chiesa che fa “memoria” anche nella liturgia dell’Eucaristia, una memoria autentica, che si attualizza sempre nella presenza di Cristo,”vivo” sull’Altare.In questi giorni, ho riletto alcune delle “Ultime Lettere dei condannati a morte della resistenza italiana”, considerato all’uscita nel 1963, uno dei libri di formazione, che mettevano i giovani di fronte alle grandi questioni etiche. Storie di giovani in guerra Avevo conosciuto Piero Malvezzi, che le aveva raccolte con Giovanni Pirelli. Molte raccontavano la testimonianza di giovani credenti che affrontavano la morte, “fidandosi” della parola di Cristo, consolando, con il loro scritto, papà e mamma perché un giorno si sarebbero ritrovati in Paradiso. La stessa fede ho trovato in alcune pagine del “Diario di Gusen” del grande pittore milanese Aldo Carpi. Ultimamente leggevo in un articolo di Marina Corradi, pubblicato su Avvenire la testimonianza di giovani dell’Azione Cattolica nel lager, dove avevano costituito un circolo intitolato a Renato Sclarandi, un giovane AC torinese, ucciso a tradimento da un sentinella, mentre portava Gesù agli amici nel campo. Mi aveva commosso perché chi era intervenuto per primo accanto a lui, alzando alto il crocifisso, è stato un prete salesiano di Somma Lombardo, don Mario Besnate, che avevo conosciuto personalmente. Lo Spirito Santo soffia ancora oggi Riflettevo, tra me, viaggiando sul metrò a sera avanzata, con pochi viaggiatori, quasi tutti stranieri: se mutasse il vento, avremmo ancora giovani disposti a testimoniare la fede in Gesù Cristo, nella Chiesa, come in quei giorni? Io credo di sì perché lo Spirito del Signore “soffia” ancora oggi come nei primi tempi della Chiesa. Ma sembra che venga richiesta da noi un’altra forma di testimonianza: non quella del lager �e neppure del sangue come in tante parti del mondo. Noi siamo chiamati manifestare la nostra fede in Gesù Cristo ma anche nella Chiesa, che nasce da Lui, vive della sua presenza e che la cultura laicista sta combattendo, in modo aperto, non tanto sotterraneo, di forte conflitto.Ci sono laici rispettosi, ma altri, in mille forme, irridono ai messaggi della Chiesa, al suo stile di vivere, alla sua cultura, che pure ha manifestazioni d’arte, di musica, di pensiero e narrativa di rara bellezza. Certi “laicisti”, intolleranti, portatori di un dialogo che non accetta di essere messo in discussione, sono davvero pericolosi, rifiutando le leggi scritte e “non scritte degli Dei”, calpestando valori universalmente riconosciuti, che fondano ogni rapporto umano, la stessa democrazia. Il Santo don Carlo Gnocchi Della Chiesa occorre “innamorare” i nostri giovani, prima di tutto “istruendoli” sulla sua realtà, per far crescere in loro un vivo amore a chi la rappresenta, il Papa, i vescovi, i sacerdoti. Gli stessi �i laici ne sono parte essenziale. Non solo parole ma con la testimonianza personale e di chi ci ha preceduto: i nostri santi. Un’occasione stupenda ci viene offerta dalla beatificazione di don Carlo Gnocchi, un sacerdote che ha amato la Chiesa, prima come prete negli oratori, poi tra i soldati in Russia e, infine,� tra i bimbi, che la guerra aveva offeso nel fisico, i famosi “mutilatini di don Gnocchi”, che hanno sfidato per anni la solidarietà e la generosità della gente milanese. Sul mio comodino, in camera, conservo una vignetta di Guareschi, dove gli alpini, nella bufera di neve esclamano: “Adesso capiamo perché non è morto il nostro cappellano”. Non è stato una delle centomila gavette di ghiaccio perché, tornando in Italia, il Signore lo chiamava ad� occuparsi delle piccole vittime della guerra.A Don Gnocchi aggiungo padre Daniele, assassinato sulle Ande, Claudio Zebelloni, un “ateo” morto tra i poveri del Brasile come Attilio Giordani, “il delegato dell’AC”, padre di famiglia, che ha scelto l’Oratorio e il lavoro missionario, per stare con i suoi figli� una lunga fila di testimoni, che ho potuto avvicinare. Chi legge, potrebbe stilare un suo elenco personale. Qualcuno afferma che i giovani hanno altri eroi, altri campioni, al di fuori da ogni schema religioso o ecclesiale. Sarà forse vero, ma di una cosa sono sicuro: là dove c’è un vero testimone, in oratorio o in parrocchia, in scuola o su un campo sportivo, là è possibile trovare dei giovani, che camminano sereni nella vita, perché sanno che, insieme al testimone, è tutta una Chiesa, che cammina, la Chiesa di Cristo.
Riflessione
I Santi, gli innamorati della Chiesa
Là dove c'è un vero testimone è possibile trovare dei giovani che camminano sereni nella vita
di Vittorio CHIARI Redazione Diocesi
11 Settembre 2009