“Sentinella”, quando finisce la notte? Dimmi quanto manca all’alba?” (Isaia 21,11). La catena di violenza che ammorba l’atmosfera delle nostre città e paesi non può, non deve, lasciarci dormire tranquilli: fughe della vita attraverso il suicidio o lo sprezzo del pericolo, attentati alla vita degli altri per futili motivi: uno sguardo, una parola di troppo, un’offesa punita in modo tragico, drammatico, ferendo, uccidendo. Non possiamo dormire tranquilli: per il modo, per l’età, per il mistero che avvolge queste morti, per il mare di sofferenza che lasciano in chi rimane, per la spettacolarizzazione che ne fanno i media. Non se l’abbiano a male i colleghi giornalisti, ma certi fatti di sangue, che hanno protagonisti dei giovanissimi, richiedono ai cronisti una misura più discreta, più sofferta, più attenta ai problemi che suscita.
Le morti non interrogano solo chi subisce il dramma ma anche gli educatori, gli insegnanti, gli uomini di Chiesa, chi crea cultura attraverso i media. Ogni attentatore alla vita, propria o degli altri, ha una storia: è denuncia, punizione, solitudine, incapacità ad affrontare una frustrazione, un fallimento, una delusione. Religione, famiglia e società sono i luoghi dove maggiormente serpeggia la crisi alimentata da tanti maestri del nichilismo, dello scetticismo, dell’agnosticismo. Occorre andare controcorrente, costruendo, con pazienza e coraggio, una nuova cultura della vita umana, con esempi trainanti, che convincano del valore della stessa, della sua inviolabilità, creando luoghi di solidarietà, di dialogo, di relazione, di riflessione e di silenzio.
Non basta condannare o giudicare o reprimere! Occorre creare le condizioni perché la solitudine venga vinta, il debole sia sostenuto, il perdente trovi la sua dignità e mantenga solida la speranza. Uomini di Chiesa e del mondo della scuola, amministratori pubblici e leaders di partiti o movimenti, sono invitati a studiare nuove strategie di uscita dalla “notte” per non cadere vittime della rassegnazione, dell’indifferenza o del pessimismo, che non sono le migliori soluzioni per comunicare amore alla vita: a cosa vale? Quali sono le cose che spingono a vivere e non a scappare da essa? Non basta dare risposte di parole sul suo senso o richiamare valori. Occorre aiutare i ragazzi a fare esperienze di senso, esperienze di valori.
Una risposta la può dare la famiglia, nei primi anni, quando i bimbi e le bimbe, sono seguiti dai genitori, che se li prendono a cuore, testimoniando come e cosa fare per crescere. Poi le risposte vanno date in altri luoghi educativi, che possono completare l’opera della famiglia, quali la scuola e, mi permetto di suggerire, l’oratorio nelle varie forme in cui può presentarsi: quello tradizionale o con le varie innovazioni date dai Movimenti e dalle Associazioni.
Il tradizionale è ancora una buona risposta là dove c’è un prete e un gruppo di laici, che hanno passione educativa. L’oratorio è efficace se lascia memorie positive, se il ragazzo è accolto, chiamato per nome, riconosciuto nelle sue domande più semplici del gioco e dell’amicizia e in quelle più esistenziali, che trovano risposta soprattutto nel rapporto con un adulto, che ha vissuto l’esistenza con gioia, come cosa buona, alla luce di Dio.
L’oratorio è luogo di formazione e di prevenzione del disagio, è stato ed è all’origine di vocazioni sacerdotali, religiose, alla famiglia, per cui vale la pena che la parrocchia investa con tutte le sue forze per offrire ai ragazzi una possibilità di crescita nella libertà, nella responsabilità, nella solidarietà ad ampio raggio, nell’apertura all’incontro con Dio: in oratorio non è un fantasma o un essere fuori dal tempo, ma ha il volto concreto di Gesù Cristo.
Bisogna crederci. Alcuni giorni fa, ho partecipato a Lecco alle esequie di Mamma Assunta Gualzetti! Formidabile: ha voluto, prima di morire, che il funerale partisse dalla Cappella dell’Oratorio, che ha accolto i suoi sei figli e li ha aiutati nella loro crescita. Mamma davvero oratoriana per il suo impegno a servizio dei giovani, fino a che ha potuto. Sabato scorso, a Sedriano, ho partecipato ad una serata con più di duecento genitori, – e non è la prima volta – che si interrogavano sull’oratorio e lo hanno scelto come spazio educativo per loro stessi.
“Un Oratorio per ogni parrocchia”, si augurava Beato Cardinal Ferrari. Oratorio? Noi ci crediamo! Per uscire dalla “notte” e ritrovarci nella luce del mattino, quella della Speranza, è certamente una delle buone proposte. “Sentinella”, quando finisce la notte? Dimmi quanto manca all’alba?” (Isaia 21,11). La catena di violenza che ammorba l’atmosfera delle nostre città e paesi non può, non deve, lasciarci dormire tranquilli: fughe della vita attraverso il suicidio o lo sprezzo del pericolo, attentati alla vita degli altri per futili motivi: uno sguardo, una parola di troppo, un’offesa punita in modo tragico, drammatico, ferendo, uccidendo. Non possiamo dormire tranquilli: per il modo, per l’età, per il mistero che avvolge queste morti, per il mare di sofferenza che lasciano in chi rimane, per la spettacolarizzazione che ne fanno i media. Non se l’abbiano a male i colleghi giornalisti, ma certi fatti di sangue, che hanno protagonisti dei giovanissimi, richiedono ai cronisti una misura più discreta, più sofferta, più attenta ai problemi che suscita.Le morti non interrogano solo chi subisce il dramma ma anche gli educatori, gli insegnanti, gli uomini di Chiesa, chi crea cultura attraverso i media. Ogni attentatore alla vita, propria o degli altri, ha una storia: è denuncia, punizione, solitudine, incapacità ad affrontare una frustrazione, un fallimento, una delusione. Religione, famiglia e società sono i luoghi dove maggiormente serpeggia la crisi alimentata da tanti maestri del nichilismo, dello scetticismo, dell’agnosticismo. Occorre andare controcorrente, costruendo, con pazienza e coraggio, una nuova cultura della vita umana, con esempi trainanti, che convincano del valore della stessa, della sua inviolabilità, creando luoghi di solidarietà, di dialogo, di relazione, di riflessione e di silenzio.Non basta condannare o giudicare o reprimere! Occorre creare le condizioni perché la solitudine venga vinta, il debole sia sostenuto, il perdente trovi la sua dignità e mantenga solida la speranza. Uomini di Chiesa e del mondo della scuola, amministratori pubblici e leaders di partiti o movimenti, sono invitati a studiare nuove strategie di uscita dalla “notte” per non cadere vittime della rassegnazione, dell’indifferenza o del pessimismo, che non sono le migliori soluzioni per comunicare amore alla vita: a cosa vale? Quali sono le cose che spingono a vivere e non a scappare da essa? Non basta dare risposte di parole sul suo senso o richiamare valori. Occorre aiutare i ragazzi a fare esperienze di senso, esperienze di valori.Una risposta la può dare la famiglia, nei primi anni, quando i bimbi e le bimbe, sono seguiti dai genitori, che se li prendono a cuore, testimoniando come e cosa fare per crescere. Poi le risposte vanno date in altri luoghi educativi, che possono completare l’opera della famiglia, quali la scuola e, mi permetto di suggerire, l’oratorio nelle varie forme in cui può presentarsi: quello tradizionale o con le varie innovazioni date dai Movimenti e dalle Associazioni.Il tradizionale è ancora una buona risposta là dove c’è un prete e un gruppo di laici, che hanno passione educativa. L’oratorio è efficace se lascia memorie positive, se il ragazzo è accolto, chiamato per nome, riconosciuto nelle sue domande più semplici del gioco e dell’amicizia e in quelle più esistenziali, che trovano risposta soprattutto nel rapporto con un adulto, che ha vissuto l’esistenza con gioia, come cosa buona, alla luce di Dio.L’oratorio è luogo di formazione e di prevenzione del disagio, è stato ed è all’origine di vocazioni sacerdotali, religiose, alla famiglia, per cui vale la pena che la parrocchia investa con tutte le sue forze per offrire ai ragazzi una possibilità di crescita nella libertà, nella responsabilità, nella solidarietà ad ampio raggio, nell’apertura all’incontro con Dio: in oratorio non è un fantasma o un essere fuori dal tempo, ma ha il volto concreto di Gesù Cristo.Bisogna crederci. Alcuni giorni fa, ho partecipato a Lecco alle esequie di Mamma Assunta Gualzetti! Formidabile: ha voluto, prima di morire, che il funerale partisse dalla Cappella dell’Oratorio, che ha accolto i suoi sei figli e li ha aiutati nella loro crescita. Mamma davvero oratoriana per il suo impegno a servizio dei giovani, fino a che ha potuto. Sabato scorso, a Sedriano, ho partecipato ad una serata con più di duecento genitori, – e non è la prima volta – che si interrogavano sull’oratorio e lo hanno scelto come spazio educativo per loro stessi.“Un Oratorio per ogni parrocchia”, si augurava Beato Cardinal Ferrari. Oratorio? Noi ci crediamo! Per uscire dalla “notte” e ritrovarci nella luce del mattino, quella della Speranza, è certamente una delle buone proposte.