di Vittorio CHIARI
Non possiamo rinunciare ad essere “il sale della terra e la luce del mondo”. Se nei nostri oratori, se nelle nostre famiglie, rinunciamo a parlare di Gesù, corriamo il rischio di educare solo l’uomo ma non il figlio di Dio, colui che in Gesù Cristo trova motivo di vita.
Papa Benedetto più volte nei suoi discorsi richiama questo compito ai preti, agli educatori, ai genitori: mettere Gesù Cristo al centro dei propri pensieri, innamorarsi di Lui, meglio conosciuto per meglio annunciarLo, per viverLo, restituendoLo a questo povero mondo che vuole eliminarlo o ignorarlo.
“Povertà, guerra, ingiustizie… L’umanità ha bisogno di essere liberata e redenta. È Cristo la speranza che cambia la vita. È Cristo il nostro futuro, come ha scritto nella Lettera Spes salvi, il suo Vangelo è comunicazione che «cambia la vita», dona la speranza, spalanca la porta e illumina il futuro dell’umanità e dell’universo” (Benedetto XVI).
“I cristiani, scrive l’arcivescovo Angelo Amato, non possono rinchiudere il Vangelo nei sotterranei, non possono dormire sul tesoro più ricco del mondo, non possono arrendersi di fronte all’aggressività chiassosa di una cultura anticristiana cinica e menzognera”.
Restituire Gesù ai giovani, al mondo, è contribuire alla sua “ricostruzione” dopo i vari processi di globalizzazione, di secolarizzazione che sembrano avere inghiottito la religione, qualsiasi religione.
“In tempore?? Acundiae et violentias”, nei tempi dell’ira e della violenza, l’unica cosa certa e giusta agli occhi di Dio è dire e testimoniare Gesù Cristo, altrimenti l’oratorio diventa uno dei tanti luoghi di aggregazione che le amministrazioni comunali aprono per i giovani e la famiglia perde le radici del suo stare insieme, dell’amore in grande! Quello che il mondo attende dai cristiani è che parlino con voce alta e limpida, con il Vangelo in mano, che apre all’accoglienza di Gesù, “dal cui cuore trafitto”, scrive papa Benedetto, “scaturisce l’amore”.
E il Vangelo va annunciato a tutti: non solo agli eroi. Gesù Cristo stesso non ha fatto l’eroe neppure un attimo nella sua vita. Di fronte alla cultura odierna, c’è chi invoca l’Eroe, come un tempo invocavano il Profeta. Allora chi non si sente di vivere da eroe o da profeta, si ritira e si accontenta di dare buoni consigli: il confessionale, ad esempio, diventa il luogo della psicologia spicciola, della direzione spirituale per innamorati o per i frustrati nell’amore, ma non il luogo della Grazia di Dio, che viene data soprattutto ai poveri e ai peccatori, che desiderano convertirsi.
In famiglia, si ricerca invece la pedagogia spicciola dei vari Crepet o Pasini, che pure sono bravi ma difficilmente si apre il Vangelo per ricercare una soluzione ai tanti interrogativi, che ci fanno dubitare sul chi siamo, sul dove siamo orientati nel nostro cammino verso l’Oltre.
“Ma i ragazzi non vogliono sentire parlare di Gesù! Allora cerco di attrarli con il linguaggio umano del gioco, del divertimento. Capiranno, crescendo!”. Ci si butta a capofitto nel creare simpatie, rapporti umani poi si teme di andare oltre. Nasce così l’oratorio degli amiconi, delle uscite in pizzeria o al Mc Donald, senza grandi slanci per il Vangelo o per le opere spirituali o della carità.
La famiglia stessa rischia di diventare il luogo delle norme, ma non del cuore, perché non alimentata dalla fede nel Signore Gesù, che insegna a dar valore alla carità, a rapporti profondi perché radicati nel Vangelo. In ogni ambiente Gesù insegna a dialogare, a sopportare il confronto con l’altra e a riconoscere il valore di ogni persona. Gesù dà valore al forte che è tale perché ama, sa mettersi al servizio del debole, dell’ignorante, di chi inizialmente rifiuta la presenza del prete o dell’educatore o è ribelle in famiglia.
“Ecco, sto alla porta e busso; se qualcuno apre”. È la maniera di fare del Signore, che non si impone, ma si propone nei Sacramenti, che ha “inventato” per noi adulti, che li dobbiamo rendere affascinanti per i nostri ragazzi e giovani.
Annunciare il Vangelo è la più grande carità ma il Vangelo, prima di annunciarlo agli altri, dobbiamo farlo nostro. Se l’operazione di “mangiarlo” riesce, ne consegue la necessità dell’annuncio a chi incontriamo, in oratorio o in famiglia, a scuola o per strada, in chiesa.
Dio Padre non vuole perderci, vuole che tutte le sue creature siano salve e per questo si serve anche di noi, che non dobbiamo avere vergogna di annunciarlo anche agli altri.