«Il nostro obiettivo è riflettere su come il sistema dei media orienti sempre più le relazioni familiari rimodulandone i tempi, gli spazi e i ruoli e determinando nuove sfide anche alla luce dell’attuale emergenza educativa». Così monsignor Dario Edoardo Viganò, preside dell’Istituto Redemptor Hominis, introduce il convegno “Quale famiglia per quale società”, in calendario mercoledì 11 gennaio, alle 10, presso la Pontificia Università Lateranense, nella cornice dell’Auditorium Giovanni Paolo II.
Sarà proprio monsignor Viganò a moderare gli interventi di don Davide Milani (responsabile comunicazioni sociali della diocesi di Milano e del VII Incontro mondiale delle famiglie), José Noriega Bastos (Pontificio Istituto Giovanni Paolo II) e Chiara Palazzini (vicepreside dell’Istituto pastorale Redemptor Hominis). Previsti anche i saluti del vescovo Enrico dal Covolo, rettore della Lateranense, e di Livio Melina, preside dell’Istituto Giovanni Paolo II, oltre alle conclusioni del cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia. Interverranno gli attori Cristiana Capotondi e Alessio Boni e il regista Guido Chiesa.
Mons. Viganò, come s’inserisce questa iniziativa nel cammino verso l’Incontro mondiale delle famiglie?
Il mondo ecclesiale sta lavorando nella preparazione del grande Incontro mondiale delle famiglie con il Papa: dalle diocesi alle Facoltà teologiche, dai settimanali all’editoria cattolica, dai Centri culturali alle Sale della comunità. All’interno del pullulare di iniziative, a maggior ragione il Laterano, Università del Papa, vuole dare un contributo di riflessione e di sensibilizzazione del mondo universitario che rappresenta tutti i continenti del mondo.
Quali elementi caratterizzano l’attuale immagine della famiglia prevalente nella rappresentazione mediatica?
Che la famiglia occupi una posizione di rilievo nelle narrazioni cinematografiche e televisive è un dato inequivocabile. Dai racconti delle saghe familiari, come La meglio gioventù (2003) di Marco Tullio Giordana, alle dinamiche del rapporto di coppia e del dialogo genitori-figli con le più svariate declinazioni tra stranezze e logiche disfunzionali. Se diamo uno sguardo al genere maggiormente premiato in questo ultimo anno, ricordiamo i film di Carlo Verdone Io, loro e Lara (2010) e a quello di prossima uscita Posti in piedi in Paradiso (2012) sui padri separati. Ma anche Paolo Virzì con La prima cosa bella (2009), Fausto Brizzi con Ex (2008) e Giovanni Veronesi con Genitori & figli. Agitare bene prima dell’uso (2009). La commedia non esaurisce tutto: pensiamo a racconti densi di drammaticità come Giorni e nuvole (2007) di Silvio Soldini o La nostra vita di Daniele Luchetti (2010). Il piccolo schermo non è da meno: da Un medico in famiglia (Rai), passando per I Cesaroni (Canale 5) e Tutti pazzi per amore (Rai).
Cinema e televisione possono avere sui figli un’influenza educativa maggiore di quella dei genitori?
Spesso il rapporto tra ragazzi, o più in generale tra famiglia e media, è stato declinato in termini di effetti creando, come spesso avviene, due partiti: i favorevoli e i contrari. Credo si debba superare tale prospettiva riposizionando al centro del dibattito e della riflessione la famiglia, le relazioni del prendersi cura secondo le logiche dell’affetto e del bene. La famiglia non rappresenta il gendarme più autorevole ma anzitutto il contesto nel quale, grazie a relazioni dense di testimonianza e di verità, ci si può confrontare con i processi culturali che contribuiscono a delineare i contorni delle simboliche culturali. In tal senso, laddove la famiglia sa far convergere su di sé l’attenzione specifica degli alleati di primo piano come la scuola e le esperienze legate all’associazionismo, può accompagnare i propri figli a formulare giudizi valoriali che sono esercizio di responsabilità.
In che modo la pastorale familiare può incoraggiare e favorire un corretto utilizzo dei mezzi da parte delle famiglie?
Sempre più la questione dei media è nell’agenda dell’azione della Chiesa. È importante affrontare la questione dei media dal punto di vista della partecipazione ai processi culturali, chiamando a raccolta le istituzioni – come la scuola e le università – e le associazioni – come l’Aiart – per promuovere la crescita della consapevolezza che non si tratta semplicemente d’insegnare un linguaggio, quanto piuttosto di accompagnare i ragazzi per fornire loro orizzonti di senso, mappe per rielaborare, secondo una prospettiva cristiana, le moltissime relazioni che, soprattutto in rete, si creano. E ciò a maggior ragione nei processi educativi.