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Editoria

Contributi, percentuale iniqua

Bene i nuovi criteri, ma senza penalizzare ingiustamente la stampa del territorio

a cura di Francesco ROSSI

14 Maggio 2012

«Razionalizzare l’utilizzo delle risorse». Parte da quest’impegno il decreto legge che il Consiglio dei Ministri ha approvato venerdì 11 maggio, insieme al disegno di legge delega sulla riforma dell’editoria, per riordinare l’erogazione dei contributi al settore. La razionalizzazione auspicata, enuncia il primo articolo del decreto, passa «attraverso meccanismi che correlino il contributo per le imprese editoriali agli effettivi livelli di vendita e di occupazione professionale».

I nuovi parametri

Il decreto stabilisce nuovi tetti massimi per i rimborsi dello Stato ai giornali, «nei limiti delle risorse stanziate» dalla Presidenza del consiglio. I nuovi criteri parametrano i contributi alla spesa effettivamente sostenuta per il personale dipendente (giornalisti e poligrafici) assunto «con contratto di lavoro a tempo indeterminato», «per l’acquisto della carta, per la stampa e per la distribuzione». In più, vi è una quota «per ogni copia venduta», considerando la «vendita in edicola o presso punti di vendita non esclusivi, tramite contratti con società di distribuzione esterne» e gli abbonamenti, purché per ciascuno sia chiaro il beneficiario. Escluse, invece, «le copie diffuse e vendute tramite strillonaggio», le «vendite in blocco» e quelle «per le quali non sia individuabile il prezzo di vendita».

Tali criteri non sono richiesti a quanti rientrano nell’art.3, comma 3 della Legge 250/90 sui contributi all’editoria, ovvero «imprese editrici di periodici che risultino esercitate da cooperative, fondazioni o enti morali, ovvero da società la maggioranza del capitale sociale delle quali sia detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali che non abbiano scopo di lucro». Sono qui, per esempio, molte testate del mondo non profit e i settimanali diocesani. Tuttavia, riporta il decreto, «le risorse complessivamente destinabili a tali contributi sono pari al 5% dell’importo stanziato». Una quota residuale che, a fronte di drastici tagli dello stanziamento complessivo, rischia di penalizzare fortemente questi giornali.

Penalizzati i più piccoli

«Con la frase che limita al 5% i contributi per i giornali previsti dal comma 3 dell’articolo 3, fra i quali ci sono decine di testate diocesane, si realizza un taglio lineare che le penalizza fortemente, minandone la sopravvivenza», commenta Francesco Zanotti, presidente della Fisc, la Federazione italiana settimanali cattolici che rappresenta 186 testate locali. Per il resto, «bene i nuovi criteri che rispondono al rigore che abbiamo sempre chiesto, bene il collegamento con l’occupazione e la reale vendita delle copie, bene anche l’esclusione dai nuovi criteri di maggior rigore dei giornali previsti dal comma 3 dell’articolo 3». Un’esclusione, quest’ultima, che «è sempre stata richiesta dalla Fisc» per favorire «maggiore equità», «tenuto conto che si parla di “briciole di contributi” (8,9 milioni di euro su circa 160 milioni complessivi per l’anno 2010)».

Tuttavia, il riferimento percentuale al fondo dell’editoria «senza conoscere la sua consistenza» (si parla di 120 milioni di euro per il 2011 e forse saranno ancora meno per il 2012) non permette di sapere «di che importo potrà beneficiare una singola categoria di testate». Se effettivamente si passa da 160 a 100 milioni nel giro di due anni, i contributi alle testate diocesane, del non profit e altre che rientrano nella fattispecie prevista dalla legge «subiranno un taglio di oltre il 40%», annota Zanotti. Una riduzione che potrebbe essere fatale e «che non favorisce l’equità da noi sempre richiesta». «Meglio sarebbe stato – suggerisce il presidente della Fisc – legare i contributi futuri a quegli 8,9 milioni di euro erogati per il 2010: una modifica che avrebbe ben poco influsso sullo stanziamento complessivo, permettendo comunque una razionalizzazione della spesa, ma che è vitale per la sopravvivenza di tante nostre testate».

L’avvio di un processo

Per il segretario generale della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), Franco Siddi, l’emanazione del decreto e del disegno di legge delega rappresentano «l’avvio di un processo» da arricchire in Parlamento «anche cogliendo i contributi delle parti sociali», avendo come riferimento la bussola «del pluralismo e dell’attenzione all’occupazione».

«Vengono finalmente definite buone pratiche amministrative di rigore e trasparenza», osserva Siddi, per il quale i contributi vanno dati «non a chicchessia, ma a quanti realizzano giornali veri con giornalisti veri», facendo così «emergere la funzione vitale del pluralismo dell’informazione». Anche il segretario dell’Fnsi suggerisce, però, alcuni correttivi, come «misure specifiche per i giornali delle minoranze linguistiche e delle comunità italiane all’estero», che hanno un diverso bacino di lettura, e sul numero minimo di 5 dipendenti, dal momento che «la natura, la foliazione, la dimensione dei giornali non è la stessa per chi ha carattere nazionale o per chi sta in una sola città».