Affrontiamo per l’ennesima volta un tema che non fa proseliti. Non fa neppure audience e non incrementa i lettori. Anzi, rischia proprio di farne perdere, in tempi di populismo dilagante. Ma fa lo stesso, direbbe don Oreste Benzi: se una battaglia è giusta, va combattuta ugualmente, proprio come fece il sacerdote riminese con i rom, altro tema inviso all’opinione pubblica dominante. Lui non se ne importò e continuò le sue lotte in favore dell’uomo umiliato e offeso. Noi andiamo di conseguenza e ci battiamo per la libertà d’informazione nel nostro Paese e contro (sì, contro) una campagna di disinformazione volta a screditare certa carta stampata.
I contributi pubblici all’editoria sono considerati un regalo di Stato. Sarà anche successo questo, in diversi casi, ma l’intero sistema non è tutto da buttare. Si tratta, diciamolo subito, di un sostegno al pluralismo nell’informazione. Il mercato, da solo, non è sufficiente per garantire la presenza di più voci nel panorama dell’informazione. E proprio questo settore, così delicato e importante per la crescita e lo sviluppo democratico di un Paese che amerebbe definirsi avanzato, non può essere considerato alla stregua di qualsiasi altro comparto.
Si invoca spesso l’Europa, a volte anche a sproposito. Per la carta stampata e l’informazione più in generale, invece, si tace su quanto accade nel nostro continente. In quasi tutti gli Stati l’informazione viene sostenuta, con sistemi diversi, ma è certo che viene aiutata. È troppo importante per essere lasciata alla dinamica domanda-offerta. Pensiamo a ciò che accade quando si verifica un colpo di Stato: di norma si mette subito mano alle radio, alle tv, alla carta stampata, appunto perché è proprio da questi mezzi che dipende molto della vita di una comunità nazionale.
Ora in Italia è in dirittura d’arrivo alla VII Commissione della Camera dei Deputati, nel disinteresse quasi generalizzato e all’inizio del mese di agosto, una proposta di legge che prevede l’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria. Intendiamoci subito e molto bene: da tempo la Fisc si batte contro gli sprechi e ha sempre invocato maggiore rigore nella distribuzione delle risorse pubbliche. Ciò vale, evidentemente, anche in questo caso. Però, soprattutto in fasi di ristrettezze economiche, occorre operare dei distinguo e agire con maggiore raziocinio.
Il pluralismo informativo è un valore? Il territorio in Italia ha un senso? Più testate attive sono una ricchezza? Oppure è sufficiente qualche informazione generica magari diffusa online, come a volte si vuole far credere, rispetto a un dibattito e a un confronto che può costituire parte del sale di una sana democrazia partecipata? Sono questi gli interrogativi a cui occorre dare una risposta prima di eliminare un sistema, certamente imperfetto e migliorabile. Un sistema che ha anche avuto il merito di sostenere una certa editoria libera, di idee e del territorio che, in svariati casi, dà voce e spessore a realtà altrimenti obbligate all’oblio da un circo costituito da grandi network fin troppo autoreferenziale.