Non è tantissimo, ma è già qualcosa. Bisogna ammetterlo. Il 12 maggio a Roma, al tavolo per l’editoria convocato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Luca Lotti, il governo ha confermato i contributi diretti per altri due anni di competenza, il 2014 e il 2015. Poi, dal primo gennaio prossimo scatterà la riforma per la quale, ha riferito il braccio destro di Matteo Renzi, “ci diamo 60/90 giorni di tempo”.
Quindi i giornali non profit e le cooperative editoriali, comprese le 72 testate aderenti alla Fisc che percepiscono i contributi diretti all’editoria, potranno contare ancora sui 50 milioni distribuiti a dicembre scorso. Un fondo insufficiente per i bisogni attuali che si possono stimare tra i 70 e gli 80 milioni di euro, ma pur sempre un impegno non da poco per l’esecutivo, chiamato ogni giorno a far quadrare conti che sembrano non tornare mai.
Poi si farà famiglia nuova, con un fondo unico a favore del pluralismo. Si ragionerà sulle copie effettivamente vendute, ha anticipato il sottosegretario Lotti, e verrà posto un limite al sostegno dello Stato in favore di una singola testata. “Non è più possibile – sono state le sue testuali parole – che esistano nostri interventi per il 60-70% del bilancio di un unico giornale”. Saranno previsti anche supporti per il passaggio al digitale.
Di sicuro, ha aggiunto il sottosegretario, “adesso ascolteremo tutti, uno a uno, poi presenteremo e a voi illustreremo il nostro Disegno di legge”. In sostanza, il governo si è impegnato a fare una sintesi di tutti i contributi emersi il 12 maggio e presentati nei giorni precedenti dalle 21 sigle presenti all’incontro. “L’impresa è ardua, ma ci proviamo”, ha concluso Lotti.
Da parte nostra, abbiamo ribadito i concetti di “rigore ed equità” portati avanti da anni dalla Fisc. Rigore, in modo da sostenere chi veramente merita ed è diffuso e svolge un servizio in favore della democrazia informativa. Equità perché situazioni simili vanno trattate nello stesso modo affinché non si creino situazioni di sleale concorrenza. Abbiamo chiesto, fin da subito, e lo abbiamo ribadito all’incontro, l’abrogazione di quella che noi abbiamo definito come la riserva indiana del 5% in cui sono confinati i periodici non profit. In questo modo si elimina il maggiore taglio subito con l’introduzione del decreto Peluffo che impose tale limite.
Abbiamo anche ribadito la necessità di chiamare questo sostegno statale “Fondo per il pluralismo e la libertà d’informazione”, tenuto conto che quest’ultima non può rispondere solo a logiche di mercato. Avviene così in settori delicati e strategici dello Stato, come ad esempio quello dei trasporti pubblici e della cultura, solo per citarne un paio. Lo stesso deve accadere per l’informazione, se il pluralismo viene considerato un valore per un Paese democratico e civile.
Infine abbiamo confermato la nostra più totale contrarietà al piano delle Poste per la consegna a giorni alterni. Sarebbe un altro colpo mortale per i nostri giornali e per altri, quotidiani e periodici, che come noi affidano al recapito domiciliare gran parte delle copie diffuse. Con il sistema proposto verrebbero penalizzati quei cittadini e quella parte di Paese, il 25%, che già soffrono per una Rete più lenta o non ancora presente. Si realizzerebbe una discriminazione inaccettabile e che va contro il “servizio universale” (cinque giorni su sette) richiesto dall’Unione europea agli Stati membri.
La partita è ancora tutta da giocare. Siamo certi che nessuno vorrà mettere a tacere le voci del territorio. Voci di quella parte di Paese che ancora ci crede.