«Il Centro storico sta vivendo da tempo una fase di fortissima mobilità, cambiamento e trasformazione. Sono quasi scomparsi i negozi storici, quelli considerati punti di ritrovo e di incontro. Sono cresciuti i bar, i ristoranti, i negozi di alta moda e di tecnologia, destinati a turisti e lavoratori. Il costo delle case è altissimo, come quello della vita, e aumenta sempre di più. Questo comporta la tendenza a liberare le case popolari e a trasformarle in case di pregio». Così il Decano, monsignor Gianni Zappa, presenta il Decanato nel quale è in corso la Visita pastorale dell’Arcivescovo.
Come siete organizzati dal punto di vista pastorale?
Siamo in totale 27 parrocchie. Ci sono cinque comunità pastorali costituite, mentre alcune parrocchie hanno una consistenza che va oltre la dimensione decanale, come Sant’Ambrogio e Santa Maria del Carmine. Ci sono poi realtà di piccole dimensioni, ma che accolgono persone che provengono anche da altri territori, come Santo Stefano Maggiore, dove si svolge la pastorale dei migranti. E ci sono anche chiese, come Santa Tecla del Duomo e San Fedele, che svolgono attività che vanno oltre la dimensione del Decanato.
Quali elementi distinguono questa zona dalle altre della metropoli?
Dal punto di vista dell’attività pastorale qui ci sono i residenti, i lavoratori che passano molto tempo in questa area (200-300 mila persone) e chi passa dal Centro storico per turismo o divertimento. Le comunità del territorio non possono essere indifferenti a queste presenze e per questo si interrogano su chi siano queste persone. Per questo dobbiamo garantire una pastorale ordinaria, che faccia attenzione a usare un linguaggio che tenga conto di queste persone. Facciamo perciò molte iniziative di carattere culturale e pastorale, come celebrare la Messa nell’orario del pranzo o aprire le chiese alla mattina presto, all’ora di pranzo e alla sera tardi per dar modo ai lavoratori e a chi viene di passaggio di frequentarle.
Lei accennava all’inizio alle caratteristiche sociali…
Anche se molti residenti vanno via nei fine settimana, la partecipazione alle celebrazioni è molto alta, più che la media delle chiese delle nostre città. Qui, infatti, molti vengono anche da fuori e ormai da anni hanno fidelizzato un rapporto. Nel Centro storico ci sono poi molti studenti universitari e i senza fissa dimora, che qui si sentono più sicuri e tutelati. Da noi l’azione caritativa tiene conto di chi vive per strada e anche delle famiglie in difficoltà che risiedono in periferia. I Centri d’Ascolto e la San Vincenzo delle nostre parrocchie fanno più per chi risiede in altre zone che per i residenti del territorio. C’è molta generosità.
Quali le conseguenze della pandemia?
Ha segnato il Centro storico, perché la popolazione che lo rende vivo non poteva andarci. Ma i residenti hanno vissuto bene questa situazione. La pastorale ordinaria dell’iniziazione cristiana e le normali relazioni delle comunità si sono mantenute online. È interessante però il fatto che si sia evidenziata una rete di cura e di solidarietà che c’è sempre stata, ma che si era affossata. Nei condomini è emersa una particolare attenzione al vicinato con telefonate a chi è solo. Un modo molto bello di essere vicino al prossimo.
Quali le sfide?
Il nostro territorio non ci permette di intercettare con immediata definizione le sfide per il futuro. Abbiamo la percezione che la mobilità ne presenterà, ma è difficilissimo dire quali e come affrontarle. Di sicuro non possiamo stare fermi e indifferenti. Bisogna avere attenzione per le persone e per la loro vita. Per poter parlare ed esercitare il compito missionario è necessario fare un forte approfondimento sul senso di essere Chiesa e della nostra spiritualità (come ha sottolineato monsignor Delpini nella proposta pastorale di quest’anno, mettendo a fuoco il tema della preghiera). La nostra deve essere una missionarietà fatta per le vie, per le strade, per le piazze: dobbiamo dare vocazione e senso all’essere residenti nel centro storico dimostrando accoglienza e affidabilità. Ci sono certamente problemi come la movida, la mobilità dei lavoratori, ma non abbiamo risposte. Cerchiamo di essere vigilanti. Non mancano mai messaggi rivolti alle persone residenti di mantenere un animo attento ai fragili, agli ultimi, ai deboli, non solo con l’elemosina, ma con la formazione permanente alla carità. Una sfida importante rimangono i ragazzi, soprattutto adolescenti, perché hanno un grandissimo bisogno di essere accompagnati e aiutati. Dobbiamo interrogarci su come possiamo essere attrattivi, non in modo superficiale, ma in senso profondo, proporre una vita che si spende per il bene. Qui sono presenti gruppi scout, oratori e gruppi sportivi che sono considerati punto di riferimento per tantissimi giovani. Le nostre chiese sono luoghi di silenzio in un territorio dove tende a prevalere il rumore, isole in un mare aperto di moderno e post-modernità. Siamo molto contenti di lavorare qui perché ci è richiesta molta essenzialità e maturazione nel linguaggio e nelle relazioni da costruire.
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