Nella Lettera introduttiva che accompagna il Decreto del Sinodo minore, l’Arcivescovo delinea quattro tratti fondamentali e tra le ragioni dichiarate per la convocazione del Sinodo stesso vi è il desiderio che l’integrazione tra gli ambrosiani, nella Chiesa comune di tutti, sia vicendevole, in modo da arricchire nuove e antiche tradizioni. Ma quale è la sfida più urgente? A rispondere è Laura Zanfrini, ordinario di Sociologia presso l’Università Cattolica e membro della Commissione sinodale: «Tra le tante, direi che è urgente quella che definirei un’“emergenza educativa”. Il Sinodo ci ha fatto toccare con mano quanto poco conosciamo tradizioni religiose diverse. Ma, ancor più sorprendentemente, ci ha resi più consapevoli della profonda ignoranza rispetto a ciò che definiamo la “nostra” tradizione religiosa e, quindi, del bisogno di una capillare azione di ri-cristianizzazione. La sfida è imparare a rileggere la propria esperienza di fede, a livello personale e comunitario, facendosi interpellare dalla presenza dei cristiani venuti da altrove, di fedeli di altre religioni, di agnostici e di persone che cercano forme alternative per esprimere la propria spiritualità. Una sfida che richiede, innanzitutto, di riappropriarci dei nostri fondamenti e di sapere trasmetterli alle nuove generazioni in forme convincenti, fondate su una fede resa matura dalla competenza».
Nella Lettera, tra le quattro caratteristiche che auspica per la Chiesa ambrosiana, l’Arcivescovo parla di cristiani che si trovino «a proprio agio nella storia». Perché molti uomini e donne, anche credenti, percepiscono invece maggiormente il disagio del nostro tempo?
Sul piano dell’analisi sociologica, il disagio è facilmente comprensibile, alla vigilia di quella che, piuttosto che un’epoca di cambiamento, va sempre più assumendo i caratteri di un “cambiamento d’epoca”; tanto più comprensibile quando è la stessa Chiesa che, a volte, si mostra incapace di intercettare «le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi» e di mettere a frutto le loro speranze e la loro voglia di riscatto (un’altra delle preziose indicazioni emerse dal percorso sinodale). Sul piano pastorale, il disagio ha forse a che vedere con una Chiesa che, anche nei confronti di un fenomeno così sfidante come l’immigrazione, pure dei cristiani, ha prestato più attenzione al livello organizzativo – con una straordinaria risposta ai bisogni dei nuovi arrivati – e meno a quello culturale e, soprattutto, spirituale. La riflessione condotta durante il Sinodo offre, al riguardo, ampi stimoli sia per un rinnovamento dell’azione pastorale, sia per imparare a cogliere il significato teologico delle trasformazioni che viviamo, rendendo la Chiesa sempre più capace di “accogliere e curare” il disagio che inevitabilmente le accompagna.
Le ricadute del Sinodo nel territorio possono essere fonte di sensibilizzazione. Cosa può insegnare il Sinodo, con la sua riflessione sulla pluralità delle provenienze geografiche ed etniche che compongono la Chiesa ambrosiana oggi, a parrocchie e Comunità pastorali, di fronte alla constatazione di fatiche, nell’accoglienza vicendevole, talvolta, persino tra le nostre realtà di antico radicamento?
La risposta sta proprio in quell’aggettivo, «vicendevole». La città operosa e generosa nell’accogliere deve imparare a “fare spazio”. Fare spazio nella quotidianità dei luoghi di vita e di lavoro, nelle responsabilità, nella Chiesa e nei suoi organismi, nelle sedi di elaborazione culturale e di decisione. Il Sinodo, «tempo della semina più che del raccolto», si è fatto interprete di questa necessità, proponendo anzitutto uno stile dialogico e un approccio partecipativo; “obbligando” la comunità ambrosiana a un esercizio di auto-riflessività, ovvero a domandarsi quale progetto ha per sé e per il proprio futuro.