«Certo, partire in tempo di Covid è un segno profetico. Questi nostri fratelli si “aprono” al mondo mentre tutti ci stiamo “chiudendo”. E lo fanno per condividere ciò che è il vero antidoto a ogni tipo di contagio: la Parola liberante del Vangelo di Gesù». Lo sostiene don Maurizio Zago, responsabile dell’Ufficio per la pastorale missionaria, alla vigilia della Veglia in Duomo sabato 24 ottobre.
«Eccomi, manda me» è il tema della Veglia missionaria. Qual è il messaggio che si vuole lanciare in un anno così particolare?
Riprende il messaggio del Papa per questa giornata. «Battezzati e inviati», tema del mese missionario straordinario dello scorso anno, esprimeva la condizione generale di ogni battezzato che in quanto tale riceve da Dio il dono della fede e la responsabilità di annunciarla. Ma Dio non chiama mai in maniera indistinta, come se si fosse massa anonima. Ognuno ha un nome, un volto, come il profeta Isaia. A Dio che chiede «chi manderò, chi andrà per noi?», il profeta risponde: «Eccomi, manda me!». È la risposta personale a una chiamata personale che Dio fa arrivare a ciascuno, dentro la sua storia e le sue condizioni concrete di vita. La vicenda del giovane Carlo Acutis, recentemente beatificato, mi pare lo possa provare.
«O la Chiesa è missionaria o non è la Chiesa di Gesù», ricorda l’Arcivescovo. Questa sollecitazione come interpella le comunità cristiane?
Certamente le interpella. Inviterei i nostri gruppi e ciascuno, personalmente, a rileggere il testo dell’Arcivescovo da cui è tratta l’espressione sopra riportata. Siamo al punto 3.2 della “Lettera per l’inizio dell’anno pastorale”. Mi ha molto sorpreso il fatto che egli abbia chiesto anzitutto aiuto a tutti (interessante vedere tutte le categorie di persone che cita) per poter comprendere che cosa significhi oggi essere missionari. Il tempo che stiamo vivendo chiede uno sforzo “sapiente” (per rimanere nel contesto della proposta pastorale) di ascolto e di discernimento della realtà per capire che orientamento dare alla nostra azione e questa opera è necessaria per non correre il rischio che Gesù nel Vangelo evidenzia per il sale che perde sapore. La sollecitazione interpella quindi ciascuno a offrire il proprio contributo per dare volto alla missione della Chiesa oggi.
Il mondo vive il dramma della pandemia. Anche i fidei donum ambrosiani sono in prima linea. Come questo evento sta cambiando la presenza dei missionari?
In realtà la prima risposta che mi viene è che non li sta cambiando affatto come “missionari”, nel senso che continuano a percepirsi parte della comunità che li ha accolti e quindi partecipi delle loro sofferenze. Non sto parlando di eroi. Come noi, anche loro si sono posti tutti i problemi e affrontato le paure che tuttora stiamo vivendo. Generalmente potrei dire (anche se le situazioni sono molto diverse tra Paese e Paese) che la loro costante preoccupazione è stata – dentro una responsabile attenzione anche alla propria salute – come essere di aiuto a quanto le comunità stavano vivendo.
Quali iniziative in particolare sta proponendo l’Ufficio missionario in questo mese?
Un incontro che abbiamo avuto proprio sul finire della scorsa settimana con Johnny Dotti, pedagogista e imprenditore sociale, sul tema “Tessitori di fraternità in tempo di coronavirus”. Ci è sembrato importante offrire una testimonianza che in un contesto di pandemia inviti a non chiudersi, ma a operare per tessere veri legami tra la varie parti del tessuto sociale.
Partire in missione in tempo di Covid è una scelta coraggiosa. Chi sono coloro che riceveranno il mandato?
Certo, partire in tempo di Covid è un segno profetico. Riceveranno il crocifisso tre sacerdoti diocesani (in partenza per l’Albania, il Perù, il Camerun), un missionario comboniano (per l’Uganda), una coppia con i loro tre figli dell’Operazione Mato Grosso (per il Brasile), una missionaria laica dell’Alp (per il Camerun) e una suora di S. Dorotea di Cemmo (per la Repubblica Democratica del Congo).