I volontari come testimoni credibili nelle proprie comunità, che chiedono, ma nello stesso tempo fanno. La Messa che verrà celebrata oggi pomeriggio in Duomo dall’Arcivescovo, dedicata appunto al mondo del volontariato, potrebbe essere un’occasione per rilanciare l’invito ai volontari «a non essere solo erogatori di servizi, ma a raccontare ciò che si è fatto», riflette Alessandra Tufigno, responsabile della rete dei Centri di ascolto della Caritas Ambrosiana: 380 punti distribuiti tra le parrocchie della diocesi, con almeno 3600 volontari, dove chi si trova in una condizione di difficoltà può presentare il proprio bisogno, ma ancor prima essere ascoltato e incontrato. Per restare nella sfera Caritas il Sai (Servizio Accoglienza Immigrati) in sedici anni di attività ha incontrato oltre 130 mila persone provenienti da più di cento Paesi, ricorda il responsabile Pedro Di Iorio, mentre – secondo una stima del Ciessevi Milano, ente che supporta le diverse organizzazioni di volontariato – a impegnarsi per gli altri solo nel capoluogo lombardo sono circa 140 mila persone.
Numeri significativi. In molti casi, però, i volontari, anche all’interno della comunità cristiana, hanno la sensazione ricorrente di sentirsi semplicemente delegati ai compiti dell’assistenza. Tufigno riassume dunque idealmente i quesiti che alcuni volontari porranno all’Arcivescovo prima della celebrazione nella domanda su «come cercare un dialogo all’interno delle comunità, per far sì che l’esperienza dei Centri di ascolto ritorni alle comunità stesse in termini di percezione dei bisogni, di risorse e relazioni che si attivano, di occasioni di prossimità concreta; come, cioè, cambiare lo sguardo di tutti, perché anche piccole azioni di vicinanza nascano dalla prossimità delle relazioni».
Sulla stessa linea Di Iorio che, proprio al termine del Sinodo dalle genti dedicato ai cristiani di origine straniera ormai numerosi nelle comunità, auspica che si possa iniziare un lavoro «pedagogico, di comprensione su alcuni punti fermi dell’immigrazione, partendo, per usare le parole dell’Arcivescovo, da un percorso di buon vicinato». A differenza del sentire comune, sottolinea infatti Di Iorio, «per lo più l’immigrato è un soggetto forte, con un progetto davanti a sé: noi diamo credito alla reale capacità della persona di affrontare i propri problemi, dandole però le risorse che al momento non ha».
Proprio le risorse e le possibilità del volontariato sono un altro punto critico. Osserva Tufigno: «C’è una sproporzione tra la complessità delle questioni e le cartucce a disposizione degli operatori, spesso caricati anche di responsabilità che non sono loro, ma, per esempio, dei Servizi sociali. Da qui il rischio di cadere in quella cronicità dell’assistenza dovuta all’impossibilità di riuscire sempre ad accompagnare le persone nella risposta ai bisogni».
C’è infine la difficoltà anagrafica, l’invecchiamento dei volontari. Avverte Tufigno: «L’impegno nei Centri di ascolto, ma anche in tutto il volontariato, necessita di una continuità sempre più difficile da chiedere. Ma l’anzianità può essere letta anche come punto di forza, indica che i volontari mantengono l’impegno preso». Testimoni credibili, appunto.