Un modo per dire grazie, ma anche per indicare un’esperienza che può, al di là dell’emergenza pandemica, ispirare uno stile di accoglienza. È questo il senso con cui l’Arcidiocesi promuove l’incontro in programma giovedì 2 giugno, nel complesso dei Padri Oblati Missionari di Rho, come spiega il vicario generale, monsignor Franco Agnesi: «L’iniziativa è rivolta sia a quanti, durante il tempo della pandemia, hanno offerto un servizio di accoglienza nelle chiese, assicurando la sicurezza e il posto ove sedere, sia a chi si è dedicato, dopo le celebrazioni o nei momenti necessari, alla cosiddetta sanificazione degli ambienti».
L’incontro si intitola «Ogni porta, un sorriso». Cosa significa?
È il titolo che l’Arcivescovo ha voluto dare a questo invito, ricordando che, pur nelle fatiche di qualche momento, dietro la mascherina -anche solo con uno sguardo si capiva – è apparsa sempre la disponibilità di queste persone a far sì che chiunque entrasse in chiesa fosse accolto come un fratello o una sorella desiderosi di pregare, garantendo la sicurezza per tutti. Vorrebbe essere un’occasione di grazie perché questi servizi non sono magari riconosciuti o diventano facilmente di routine senza che ci rendiamo conto che poi, se mancano, facciamo molta più fatica. Un «grazie» che vuole suggerire, però, uno stile anche oggi, in una condizione diversa come è quella attuale: ossia un ministero dell’accoglienza che dica di una fraternità autentica che ci riunisce. E poi vorremmo suggerire anche un cammino, una stabilità perché questo servizio possa diventare diffuso nelle nostre parrocchie.
Le chiese non hanno mai chiuso le porte, nemmeno nei momenti peggiori della pandemia: quindi era assolutamente necessario assicurare protocolli certi. In questo la diocesi ha più volte aggiornato la propria posizione. Possiamo dire che questo «grazie» idealmente conclude – speriamo – il momento di emergenza, ma comunque riconosce che il percorso è stato sinergico e virtuoso?
Certo. Questi volontari sono riusciti, con grande creatività, a interpretare bene i protocolli per la sicurezza, talvolta un poco rigidi e molto minuziosi, come atteggiamenti e ambiti di accoglienza; trasformando luoghi che potevano incutere timore in spazi sereni in cui pregare e condividere un sacramento. La scelta di chiese aperte, anche se nel tempo duro della prima parte della pandemia vi erano solo i sacerdoti che celebravano, è stato un segno che ha consentito, anche attraverso questo tipo di servizio, che non si disperdesse, anche fisicamente, il legame nel popolo di Dio. Questo è un dono prezioso e di cui potremo continuare a beneficiare. Mi ricordo quando ero parroco e benedivo le famiglie. Un giorno mi aprì la porta del proprio appartamento una insegnante appena arrivata dalla Sicilia. Mi disse di non conoscere nessuno e che si era domandata dove andare per avviare qualche conoscenza, rispondendosi che il posto giusto era la chiesa. Ammetto di essermi chiesto se le persone che erano a Messa l’avessero salutata, si fossero mostrati cordiali, come in effetti era accaduto. Penso che questi piccoli gesti – che tutti sono in grado di fare – possano trasformare celebrazioni un poco rigide, anonime, affrettate, in luoghi, ambiti ed esperienze di fraternità.
Come si articolerà la giornata?
Si svolgerà dalle 17.30 alle 19. Nel Santuario di Rho ci sarà un Rosario meditato, guardando a come Maria ha vissuto l’accoglienza. Poi vi saranno delle semplici testimonianze. Infine l’Arcivescovo, riprendendo l’esperienza fatta, nel suo intervento offrirà una specie di “decalogo dell’accoglienza” nelle parrocchie, con l’auspicio che possa divenire anche uno stile per tutti. Concluderemo con un aperitivo, naturalmente in sicurezza. Ringrazio i padri Oblati Missionari di Rho, che hanno messo a disposizione la loro struttura e il servizio di accoglienza.
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