«Siamo ancora dentro questa pandemia che per la nostra comunità ha stravolto il mese più importante dell’anno, il mese sacro di Ramadan, quello in cui, secondo la nostra tradizione, il profeta Muhammad (pace e benedizione su di lui) ricevette la Rivelazione come guida per ciascun uomo (Sura 2,185). È il mese sacro del digiuno, della preghiera, della meditazione, dell’autodisciplina. È un atto spirituale, in cui siamo chiamati a comprendere le condizioni di chi è povero e di conseguenza sentire più empatia verso quanti soffrono per diverse situazioni»: così Omar descrive il mese di Ramadan appena iniziato, che per il secondo anno di fila si colloca dentro un tempo storico che ha avuto un forte impatto sulle comunità e ne ha stravolto le pratiche religiose.
Continua Nada: «L’anno scorso non riuscivamo a credere di non poter vivere il Ramadan, ma poi, grazie a Imam sapienti e guide sicure, lo abbiamo ridisegnato: le case sono diventate piccole moschee, affinché ogni famiglia potesse pregare insieme nella propria abitazione. Molti momenti sono stati vissuti sulle piattaforme virtuali e questo ci ha permesso di restare vicini e di coltivare quell’atmosfera di collettività che circonda il Ramadan».
«Ramadan è anche aiutare chi ha bisogno e ci siamo attivati per far sì che a nessuno mancasse il necessario. Non potendo mangiare insieme al momento dell’Iftar (rottura del digiuno), ci è stato comunque permesso quest’anno di preparare pasti da distribuire soprattutto per tante persone che non hanno da mangiare», racconta Amina, sottolineando le azioni di solidarietà portate avanti.
La diffusione del Covid-19, oltre ad aver modificato radicalmente le abitudini individuali di ciascuno e le celebrazioni collettive, ha certamente suscitato domande profonde che ciascuna comunità religiosa ha cercato di affrontare attingendo alla propria spiritualità. Khaled racconta: «Mi è mancato tantissimo l’aspetto comunitario, pregare insieme agli altri durante il mese di Ramadan e interrompere il digiuno insieme, ma l’aspetto positivo che colgo di tutta questa vicenda è che questo tempo mi sta permettendo di concentrarmi di più sugli aspetti spirituali». Il tempo che viviamo ha reso ancora più evidente che tutti siamo accumunati da grande incertezza, figlia dell’imprevisto, di ciò che non è possibile pianificare. A livello comunitario e personale, oltre ogni cultura e fede, si è sperimentata la fragilità del vivere. Per i credenti migranti la pandemia ha rappresentato una sfida aggiuntiva alle già molte difficoltà quotidiane; in particolar modo è stata una sofferenza l’accompagnamento alla morte e alla sepoltura.
Forse la condivisione di esperienze comuni può essere l’occasione per vivere in modo differente il dialogo interreligioso, provando a guardare l’altro e, in questo caso, il fedele appartenente alla comunità musulmana: non come il diverso, né colui con cui semplicemente si convive sullo stesso territorio, ma colui che nella diversità e unicità dell’esperienza di fede incontra e affronta le stesse domande esistenziali. Si potrà così custodire uno sguardo sapiente e fiducioso sulla vita, per far sì che da questa crisi nasca qualcosa di nuovo, permettendo che sorga una società diversa, più inclusiva e attenta a tutti.
Sia davvero allora per tutti i musulmani Ramadan kareem, Ramadan mubarak, un mese generoso e benedetto, così come si augurano vicendevolmente i musulmani, auspicando che ciascun credente riceva, per l’astinenza praticata, i benefici spirituali promessi.
di Giusi VALENTINI collaboratrice Ufficio ecumenismo e dialogo