«Piccole briciole di desiderio, pochi istanti di silenzio, per passare dalla distrazione all’attenzione». Nella prima delle Viae Crucis zonali, che l’Arcivescovo guida a Induno Olona per la Zona pastorale II, offrendo questa indicazione di riflessione e azione per vivere al meglio la Quaresima, c’è tutta la devozione di un popolo fatto di 2000 fedeli che segue la croce nella preghiera e nel canto. Perché «La sua croce è la nostra speranza», come si intitola, in questo anno giubilare, la celebrazione comunitaria dei riti presieduti nelle Zone dall’Arcivescovo che, a Induno (Decanato Valceresio), avvia la processione dalla parrocchia di San Giovanni Battista per arrivare alla chiesa di San Paolo Apostolo, lungo un percorso, snodatosi tra le case e la ferrovia, di circa un chilometro e mezzo.
Accanto a lui, il vicario episcopale di Zona monsignor Franco Gallivanone e don Claudio Lunardi, decano e responsabile delle Comunità pastorali Madonna d’Useria (parrocchie di Arcisate e Brenno) e San Carlo (Induno Olona), che, porgendo il suo saluto di benvenuto, dice: «A nome dei sacerdoti della Valceresio, chiediamo al Signore che la nostra preghiera possa tradursi in gesti di speranza e di amore».

Mescolati tra i fedeli – dai bimbi portati in passeggino ai giovani, fino agli anziani per nulla scoraggiati dal freddo pungente -, i decani degli 11 Decanati della Zona, i sacerdoti, due sindaci con la fascia del Primo cittadino, Ambrogio Castelli di Induno e Maurizio Zanuso di Saltrio, autorità civili e militari del territorio, gli Alpini e tanti volontari. Tutti riuniti per questa Via della croce in 4 tappe che alterna ascolto della Scrittura, di brani tratti da omelie e catechesi di papa Francesco e papa Benedetto XVI, e invocazioni, dopo l’avvio accompagnato dalle parole della Bolla di indizione del Giubileo 2025, Spes non confundit. A portare le fiaccole, rappresentanti delle assemblee sinodali, catechiste, ragazzi del Gruppo Giovani e sacerdoti. Luci di speranza che circondano per l’intero cammino la croce della Misericordia, che, dal 14 settembre 2019, sta entrando pellegrina per tutte le carceri italiane e che, per l’occasione, porta l’immagine-simbolo del Giubileo.
Percorrendo la I, III, VII, XII Stazione – le 4 scelte a Induno – e giunti al grande spazio oratoriano all’aperto della chiesa di San Paolo, l’Arcivescovo sottolinea l’angoscia di Gesù e il sonno dei discepoli di 2000 anni fa, immagine viva di noi discepoli di oggi (leggi qui l’omelia).

I discepoli addormentati e il discepolo amato
«Il discepolo addormentato è presente nel momento tragico e solenne dell’angoscia del Maestro, ma si estranea, si addormenta per distrazione: è troppo stanco, la vita è troppo pesante, le preoccupazioni troppo inquietanti. Il discepolo addormentato è testimone della preghiera del Signore, ma non partecipa perché non sa pregare, non vive la sua vita come un’invocazione, ma come un destino, non pensa che Dio possa ascoltare e salvare. Prega, canta i Salmi insieme con tutta la comunità, ma si addormenta per la persuasione dell’assenza di Dio».
Eppure, continua monsignor Delpini in riferimento al brano del Vangelo di Giovanni 19, appena proclamato nell’ultima Stazione, «il discepolo addormentato diventa il discepolo che Gesù amava e che stava presso la croce di Gesù, insieme con Maria. Dunque, c’è un percorso spirituale che sveglia dal sonno e rende partecipi della passione, morte e risurrezione del Signore». Chiarissimo il suggerimento. «Il cammino quaresimale, la celebrazione dei santi misteri e questa Via Crucis, tutto può aiutare anche noi a smettere di essere tra i discepoli addormentati».
Ma in che modo vivere questa conversione? «Una vita dispersa, una frenesia di adempimenti, un continuo assedio di sollecitazioni: la distrazione ci accompagna sempre, anche se siamo in chiesa, anche se vogliamo pregare. La distrazione non è neppure una colpa, è una condizione inevitabile. Il Signore però ci risveglia dal sonno della distrazione e ci offre il dono dell’attenzione».

Istanti di silenzio, briciole di desiderio
Da qui la necessità di coltivare tale attenzione «per accogliere l’attrattiva di Gesù, seminando nella nostra giornata istanti di silenzio e briciole di desiderio, piccole fessure che possano fare entrare la luce di Gesù anche nella nostra vita complicata e frenetica».
Anche perché, osserva ancora, «c’è una vita troppo triste, troppo solitaria, troppo dolorosa. C’è gente che sospira in attese che non finiscono mai, nell’inquietudine e nella sofferenza aspettando che venga data una risposta in una corsia di ospedale, in una situazione economica troppo precaria. Il sospiro dell’oppressione non sa farsi parola, non sa farsi preghiera, si addormenta invocando almeno una parentesi di evasione. Gesù invita a svegliarsi, a cercare in lui ristoro, sollievo. Non dice di pregare, non dice di impegnarsi di più, non dice di immaginare un domani migliore, dice solo “venite a me”. Così il discepolo addormentato può diventare il discepolo amato: se si mette in cammino per rispondere alla chiamata».
Come a dire: è il sì alla sequela la sola parola che conta – «per cui non serve moltiplicare le parole» -, da vivere con la preghiera del cuore e della mente ai piedi della croce. Una preghiera «che non è la recita delle preghiere, l’esecuzione di un rito, una specie di scaramanzia per garantirsi l’aiuto di Dio, di Maria o dei santi. Piuttosto è entrare nella preghiera di Gesù, imparare a dire “Abbà-Padre”. Questo è il cammino che siamo chiamati a compiere».
Poi l’adorazione della croce con l’Arcivescovo e tanti fedeli in ginocchio, e la benedizione solenne.