«Noi, che siamo così sconcertati per quello che sta accadendo, così preoccupati per le sorti dell’umanità, iniziamo questa Settimana con il desiderio di avventurarci nell’esperienza di amare Dio con tutto il cuore e di lasciare che sia questo amore ad abitare in noi e a insegnarci come dobbiamo vivere, guardare agli altri, affrontare questo tempo. Forse possiamo praticare i due comandamenti dell’amare Dio e il prossimo se ci lasciamo amare da Dio». In una serata gelida e nebbiosa, di gioia e di festa calorosa per ritrovarsi in tanti a pregare per il superamento delle divisioni, ma comunque attraversata dal dolore per la guerra, l’Arcivescovo conclude con queste parole la celebrazione ecumenica di apertura dell’ottavario per l’Unità dei cristiani, che si svolge a Monza, per la Zona pastorale V.
Si parte dalla chiesa di Tutti i Santi – affidata da circa vent’anni alla numerosa comunità ortodossa romena – dove, tra gli splendidi arredi liturgici della loro tradizione, l’arciprete padre Pompili Nacu rivolge un primo saluto a monsignor Delpini e ai fedeli che in processione, portando tra le mani piccoli flambeaux, camminano verso il Duomo. Accanto all’Arcivescovo e a padre Nacu, in altare maggiore salgono padre Shenuda, referente ecumenico della Chiesa ortodossa copta nella Diocesi di Milano, l’arciprete del Duomo monsignor Silvano Provasi, il diacono permanente Roberto Pagani, responsabile del Servizio per l’Ecumenismo e il Dialogo, i sacerdoti del Decanato, ministri del culto romeni e di altre comunità e il diacono Antonio Fatigati, incaricato per l’Ecumenismo della Zona V. Tra i presenti anche alcuni allievi del Seminario teologico internazionale del Pime, che ha sede a Monza.
Dalle litanie e dai canti della preghiera ecumenica, preparata dalla Comunità pastorale San Francesco d’Assisi di Cederna, e dal brano di Luca con la parabola del Buon Samaritano – che richiama il titolo della Settimana 2024, «Ama il Signore Dio tuo… e ama il prossimo tuo come te stesso» – si avvia la riflessione.
L’intervento di padre Nacu
«Stiamo attraversando un periodo complicato dal punto di vista religioso ed economico. Negli ultimi anni, parlando della pandemia e delle guerre in Europa, Asia o Africa, vediamo un incremento delle crisi interetniche e religiose e la persecuzione dei cristiani – spiega l’arciprete romeno -. Le conseguenze sono drammatiche, perché assistiamo a veri drammi umanitari e sanitari con numerosi morti, feriti, bambini mutilati a vita, carestie, emigrazione di grandi masse di persone, distruzioni materiali e culturali incalcolabili e, soprattutto, tragedie personali non quantificabili. La risposta di Cristo a tutte questi drammi è la verità dell’amore». Quell’amore che spinge il buon samaritano, a immagine di Gesù, non solo «ad aiutare il malcapitato, ma a condurlo in una locanda, la sua chiesa, il luogo di guarigione che Cristo ha stabilito per tutti coloro che sono oppressi e sofferenti, bisognosi di essere sollevati».
«Il cristianesimo non è filosofia e neanche teoria, ma esperienza viva di Gesù Cristo e, come ci suggerisce questa parabola, è un modo autentico di stare al mondo: tutti siamo chiamati ad agire come Cristo, mostrando misericordia e compassione verso chi è nel bisogno, ignorando la sua identità religiosa, etnica o sociale», termina padre Nacu.
Proprio perché «tutti siamo prossimo di tutti», mentre oggi, sottolinea aprendo il suo intervento l’Arcivescovo, «pare impraticabile il comandamento dell’amore».
Lasciarsi amare da Dio per amare il prossimo
«Forse ci siamo concentrati su quello che facciamo, che possiamo e che vogliamo fare, abbiamo ridotto l’amore a un precetto, a un comandamento da eseguire. Il dottore della Legge, nel brano di Luca, chiede al Signore chi sia il suo prossimo, ma non cosa significhi amare Dio, come se fosse cosa ovvia e l’unico comandamento da spiegare fosse il secondo». Eppure, continua l’Arcivescovo, qui sta la vera questione: «Forse non sappiamo come amare Dio, cosa sia l’amore verso di lui. Noi viviamo questa Settimana come preghiera perché siamo convinti che solo Dio può insegnarci le vie della riconciliazione e della comunione. Amare Dio significa entrare in una comunione che ci trasfigura».
E se San Paolo ci dice di avere gli stessi sentimenti che furono di Cristo, in questa logica va letto e vissuto l’amore per gli altri: «Amare il prossimo, anche il nemico, non è il frutto della buona volontà, ma di quello Spirito che abita in noi e che ci permette di condividere i sentimenti di Gesù. La pratica della via di Gesù è possibile solo per la grazia di essere resi partecipi della natura di Dio». Infatti, «la parabola – dice ancora l’Arcivescovo – parla di compassione che è il motivo per cui il samaritano si prende cura dello straniero. La compassione è il sentimento che Dio prova per questa povera umanità: l’amore è prima opera di Dio che umana».
Infine, dopo le intercessioni, tra cui la preghiera «per un mondo segnato dal terrore e dalla violenza in cui milioni di persone sono costrette a lasciare le loro case», la recita corale del Padre Nostro e la benedizione, il suggestivo suggello della celebrazione è accompagnato dai canti a cura della Chiesa ortodossa romena e della Chiesa cattolica.