Vengono accolti dalle sonorità internazionali dell’“Orchestra dei popoli” della quale fanno aprte ragazzi di ogni parte del mondo tra cui 2 ospiti della “Casa”, come chiamano tutti, con affetto e semplicità, “Casa della Carità-Angelo Abriani”. L’istituzione, voluta dal cardinale Carlo Maria Martini, compie 16 anni e sono tanti gli eventi che festeggeranno questo compleanno. Si inizia con un dialogo ai massimi livelli: l’Arcivescovo di Milano e il sindaco Giuseppe Sala si confrontano sul tema, “La carità al tempo delle paure”.
E proprio dalla possibilità di superarla si avvia la riflessione del vescovo Mario. «Penso che la paura sia un sentimento, quindi, qualcosa che entra nell’animo umano per vie imprevedibili e incalcolabili. Talvolta può essere istruttiva: è un segnale, ma ritengo che il nostro modo di reagire debba essere quello della ragionevolezza.. Si possono avere reazioni istintive, ma, poi, occorre dare alla paura le giuste proporzioni. Siamo persone capaci di ragionare e la paura può diventare una provocazione a pensare. “Casa della Carità” e tante altre istituzioni che lavorano in questo senso, ci dicono si può anche pensare e formulare tentativi di risposta. Io credo nella ragionevolezza dell’umanità e nella possibilità di incontrarsi. Qui vi è l’intuizione preziosa dell’insieme. Usiamo ragionevolezza e condivisione: insieme possiamo sfidare questo tempo», dice l’Arcivescovo.
Ma Milano può proporsi come modello, come chiede al sindaco la moderatrice dell’incontro Elisabetta Soglio, giornalista del “Corriere” e del suo supplemento “Buone Notizie”?
«Milano ha tante esperienze che sono laboratori di umanità, quindi, sono fiducioso anche per il patrimonio di bene che questa città continua ad operare. Dobbiamo convivere con la complessità, ma abbiamo voglia di affrontarla, anche se non dobbiamo illuderci che ci sia qualche ricetta».
«Certamente è difficile dare risposte, anche per quello che è, oggi, la politica, ma alcune città, e Milano in particolare, hanno un dovere in più, perché lo stare insieme nasce nelle città. Non bisogna svilire il senso della paura, ma né abbandonarsi a essa; non perseguire a tutti i costi il consenso, ma fare le cose con senso. Non so quanto il modello Milano sia replicabile, ma l’importante è consolidarlo. Lo dico ai cittadini: è come se avessimo firmato un patto che si basa sul fatto che ciascuno faccia la sua parte. Si deve essere solidali e svilupparsi, senza l’una cosa non si regge l’altra.
Riprende la parola l’Arcivescovo e la sua è una proposta importante: «Bisognerebbe trovarci tutti insieme – istituzioni che sono presenti in città e chi ha qualcosa da dire – al fine di elaborare linee per affrontare le priorità che possiamo condividere, ciascuno in coerenza con la sua identità. Occorre uno sguardo di insieme da riprendere, per avere un quadro più generale che aiuta a identificare qualche convergenza. Poi, ognuno va a casa sua e decide come fare».
Immediata la risposta di Sala: «È una buona idea perché misurare come il bisogno cambierà, ci aiuterà a capire di che risorse avremo bisogno, perché è anche una questione di risorse economiche. Non chiamiamolo Tavolo o Stati generali, troveremo un modo per definirlo, ma mi impegno a riflettere e a trovare una formula per chiamare a raccolta i costruttori del bene e della solidarietà».
Il richiamo è anche al Sinodo “Chiesa dalle Genti” nel quale abbiamo riflettuto «su come la Chiesa milanese sia cattolica, facendo sì che, in lei, tutti coloro che sono battezzati si sentano a casa. Non c’è l’italiano e lo straniero, prima ci sono le persone che hanno cose in comune. Sono orgoglioso della gratuità, con cui si è accolto nel tempo passato, e che è iscritta nella carità cristiana. C’è un idea di bene comune che richiede il contributo di tutti. Ciò che possiamo fare costruisce il bene. Questa mentalità cristiana può diventare una pista da seguire anche da altri».
Parole condivise da don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione “Casa della Carità” che nel suo intervento introduttivo ha sottolineato il valore della “Casa” come luogo in cui si accoglie, appunto, con gratuità.
«“Prima le persone” non è uno slogan inventato per contrastarne altri, ma significa tessere e ritessere continuamente legami sociali, ostinatamente, con pazienza; significa promuovere sentimenti umani di fraternità soffrendo per esclusioni e abbandoni. Paolo VI chiamava tutto ciò la «Civiltà della carità», una carità capace anche di promuove energia politica. Oggi, più che mai, dobbiamo non rinchiuderci, ma ripensare e affermare sentimenti di giustizia e legalità, di intransigente difesa dei diritti e della dignità di ogni persona, soprattutto se debole. In questo senso la nostra Costituzione è un riferimento irrinunciabile.
«Tutta la campagna culturale “Ero Straniero” e la raccolta firme per sostenere una legge di iniziativa popolare in tema di immigrazione hanno voluto dire proprio questo, hanno voluto far capire che è proprio la conflittualità indotta e procurata da una legislazione securitaria a produrre aree di abbandono, di insicurezza, di cancellazione dei diritti su cui poi si scarica la strumentalizzazione del consenso fomentato da un linguaggio rancoroso e a volte di odio. È, invece, la cultura di pace, sapientemente animata da una carità che genera e richiede una politica di diritti e di cittadinanza inclusiva, che può superare la radicalizzazione conflittuale spesso ideologica».