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Sirio 11 - 17 novembre 2024
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Giubileo dei disabili

Una Chiesa dove tutti si sentano a casa

Da papa Francesco una spinta a proseguire nel percorso di integrazione e inclusione, e un incoraggiamento all’Ufficio catechistico nazionale della Cei per il lavoro in questo settore iniziato 25 anni fa

di Veronica Amata DONATELLO

20 Giugno 2016

Dopo le parole pronunciate dal Santo Padre Francesco al Giubileo dei disabili a Roma, in risposta alla domanda di Serena, persona con disabilità, nessuna porta di una chiesa potrà mai essere chiusa a una persona disabile: «Ha parlato poco, tre-quattro righe, ma le ha dette con forza! Serena ha parlato di una delle cose più brutte che ci sono fra noi: la discriminazione. È una cosa bruttissima! “Tu non sei come me, tu vai di là e io di qua”. “Ma, io vorrei fare la catechesi”. “In questa parrocchia no. Questa parrocchia è per quelli che si assomigliano, non ci sono differenze”. “Questa parrocchia è buona o no? – Aula: “Nooo!” -. Che cosa deve fare, il parroco? Tutti abbiamo la stessa possibilità di crescere, di andare avanti, di amare il Signore, di fare cose buone, di capire la dottrina cristiana, e tutti abbiamo la stessa possibilità di ricevere i sacramenti. Ma a un sacerdote che non accoglie tutti, che consiglio darebbe il Papa? Chiudi la porta della chiesa, per favore! O tutti, o nessuno. “Ma no – pensiamo a quel prete che si difende – ma no, Padre, no, non è così; io capisco tutti, ma non posso accogliere tutti perché non tutti sono capaci di capire”. Sei tu che non sei capace di capire! Quello che deve fare il prete, aiutato dai laici, dai catechisti, da tanta, tanta gente, è aiutare tutti a capire: a capire la fede, a capire l’amore, a capire come essere amici, a capire le differenze, a capire come le cose sono complementari, uno può dare una cosa e l’altro può darne un’altra. Questo è aiutare a capire. E tu hai usato due parole belle: accogliere e ascoltare».

L’udienza dell’11 giugno, in occasione del 25° del Settore per le persone disabili dell’Ufficio catechistico nazionale della Cei (Conferenza episcopale italiana), ha fatto riflettere sull’importante percorso di “sdoganamento” condotto in questi anni dal Settore e ha fatto capire che non può esserci una misura del “dare” legata solo a certi criteri intellettivi.

Questo momento di festa è rimasto scolpito nel cuore a partire dall’ascolto delle parole del Santo Padre. Guardando tutti una voce risuonava nel cuore: «Come è possibile?». La gratitudine a Dio è grande per il prezioso lavoro svolto nelle nostre Diocesi, partendo dall’includere le persone con disabilità nel cammino di iniziazione cristiana, nella pastorale per i fidanzati fino al fine vita, coinvolgendo il tempo libero, la pastorale giovanile, gli oratori, la dignità lavorativa, il tempo del durante e del “Dopo di noi”, la sussidiazione, la formazione inclusiva.

Ma i veri protagonisti della giornata, in attesa dell’udienza, sono state le persone disabili che hanno animato il coro, allestito l’aula, preparato la colazione e il pranzo offerto ai partecipanti.

Tutto si è svolto con uno spirito si semplicità e di gioia che ha fatto emergere che la persona disabile è sempre una risorsa nella comunità e nella società.

La Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II, ha insistito sulla necessità di valorizzare il percorso di fede dei disabili, anche intellettivi, e di sostenere le famiglie in questo cammino.

Il magistero di diversi pontefici ha spinto a riconoscere e a valorizzare sempre le persone disabili e ha sollecitato a un cambiamento pastorale, per possedere quella “fantasia della carità” di cui parlava Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Novo Millennio ineunte (2001), mentre Benedetto XVI nell’esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007) invitava a dare l’Eucaristia ai disabili mentali anche «nella fede della famiglia o della comunità che li accompagna».

Oggi, grazie alle parole forti e i gesti pieni di misericordia di papa Francesco, stiamo vivendo una nuova diaconia fatta di tenerezza e accompagnamento della fragilità umana. È una vera e propria forma di conversione pastorale a cui il Signore chiama: far crescere la capacità di accogliere tutti, per creare una Chiesa dove tutti si sentano a casa.

La Cei, attraverso il Settore per la catechesi delle persone disabili, ha aperto a una nuova stagione pastorale, permettendo di creare una rete di referenti del Settore sia a livello regionale sia nelle diverse Diocesi. In particolare, nel documento “L’iniziazione cristiana alle persone disabili. Orientamenti e proposte” (2004) è stata messa al centro la “persona” come soggetto degno di riconoscimento e valorizzazione perché dono unico alla comunità. Nei recenti Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia “Incontriamo Gesù” (2014), la catechesi è stata pensata in «un’ottica inclusiva dove l’appartenenza alla dimensione ecclesiale coinvolge tutti, quindi anche le persone disabili».

Ora, pensando al futuro, ci sarà bisogno di potenziare un lavoro di équipe per progettare e condividere strumenti sussidiari, materiali che propongano l’uso di tutti e cinque i sensi per favorire ogni tipo di comunicazione. Occorrerà sempre più cercare l’accesso alla fede, le diverse possibilità di esprimerla e testimoniarla.

La grande sfida è insegnare e testimoniare al mondo che il limite, non è la fine di tutto, non è morte, non è un ostacolo, ma è parte della vita umana e può diventare opportunità di un nuovo sguardo dell’umano.