La sera di martedì 3 settembre ho ricevuto un sms da un Decano di Milano con queste parole: «A parte qualche comprensibile e prevedibile fatica e pesantezza circa l’assemblea della Chiesa dalle genti, in questa due-giorni Decani ci avete regalato tante “occasioni” molto belle e ricche, in particolare sulla Proposta pastorale e la Formazione permanente del clero. Grazie! Davvero quanta ricchezza, quanta bellezza, quanta passione, quanti uomini e donne al servizio del Vangelo nella nostra chiesa diocesana! Lode al Signore. Preghiamo lo Spirito Santo perché ci converta e ci convinca alla Gioia e ci aiuti a rendere più vivaci, libere, sciolte e giovani le nostre istituzioni stanche».
Dopo averlo ringraziato, ho considerato le quattro parole iniziali: comprensibile, prevedibile, fatica e pesantezza. Le ritengo realistiche e nello stesso tempo condivise da tutti insieme, e, proprio avendole vissute tutti insieme, possiamo considerarle un modo di “portare i pesi gli uni degli altri”.
Ci siamo resi conto che non è ancora stato ben compreso e comunicato che il Sinodo minore non è stato un “Sinodo sui migranti”, bensì – a sorpresa – l’occasione di comprendere che siamo una Chiesa in cambiamento e nello stesso tempo ricca di germogli di un nuovo volto di Chiesa cattolica. E senza dimenticare che a volte le “genti” sono sia battezzati che stanno alla larga dalle nostre comunità, sia le tante persone disperse nei sentieri complessi delle loro esistenze. Non possiamo perciò archiviare il Sinodo come qualcosa di concluso. Ma come fare perché possa fecondare la Chiesa delle terre ambrosiane?
Rileggiamolo, anzitutto, con la premessa dell’Arcivescovo che ne è parte integrante, e che rasserena la mente e incoraggia il cuore. Con entusiasmo e con un po’ troppa ansietà, abbiamo immaginato di trasformare in fretta il volto dei Decanati e dei Consigli pastorali decanali: ci siamo accorti che, accanto a suggestioni creative, crescevano intoppi e rigidezze. Soprattutto nella città di Milano il lavoro di revisione dei confini attuali richiedeva maggiore pazienza e discernimento.
Nello stesso tempo non ci sembrava giusto che la ricchezza di germogli e di testimonianze di nuovi legami ecclesiali, di presenze carismatiche, di relazioni umane buone tra persone di culture e fedi diverse, venisse isolata in poche esperienze, o peggio archiviate. Come fare?
Si è proposto, perciò, che sul territorio in cui abitano le comunità parrocchiali, le aggregazioni ecclesiali, le comunità di vita consacrata, gli insegnanti di religione, le cappellanie etniche, cristiani operanti nella scuola e nella sanità, nel volontariato e nella pubblica amministrazione, e in altre realtà significative che vivono il cambiamento d’epoca, si convocassero dei “traghettatori” che, raccolti in una “Assemblea di Chiesa dalle genti”, aiutassero a riconoscere, ascoltare, incontrare e mettere in rete tutti questi germogli di una Chiesa che cambia. Immaginando così il nuovo volto del “Decanato”.
Confesso che mi sono entusiasmato molto di questo cammino, ma forse ho dimenticato che per “generare” bisogna non essere soli, creare un clima affettivo e di dono, e soprattutto, che ci vogliono nove mesi per fare un figlio… e non pensare che basti tagliare la testa di Giove per generare Minerva.
Da qui è venuta la scelta che ogni Zona pastorale avvii il cammino assembleare nelle modalità che saranno più opportune. La Consulta diocesana “Chiesa dalle genti” farà da punto di riferimento e accompagnamento di questo cammino. I due Consigli diocesani, pastorale e presbiterale, riprenderanno il tema della strutture di comunione, di formazione e di governo pastorale nei territori decanali.
Insomma, a me presbitero, parroco o decano, non è chiesto di fare tutto da solo, ma di realizzare relazioni con i molti soggetti ecclesiali che incontro, incoraggio, correggo, e di custodire queste relazioni nella comunione.
L’ampiezza e la profondità della missione della nostra Chiesa è stata condivisa nelle comunicazioni che i diversi ambiti pastorali hanno presentato. Guardandoli come “avvisi”, ci pesano. Osservandoli come segni di una Chiesa in uscita e doni dello Spirito, ci rallegrano e ci consolano. L’accoglienza piena di simpatia rivolta ad alcuni nostri giovani “colleghi” mi è sembrata un segno incoraggiante che siamo un corpo che guarda in avanti con fiducia, solidarietà e speranza.