«Talvolta abbiamo il sospetto di essere insignificanti e irrilevanti quando chiediamo la pace, ma stasera siamo qui per dire che continuiamo a pregare per la pace perché crediamo che Dio ci ascolti e che vogliamo essere uniti per percorrere vie di comunione». Nella grande chiesa di Santa Maria Regina Pacis, nel cuore del popoloso quartiere Gallaratese e nel decanato Gallaratese, Cagnola, Quarto Oggiaro, a scandire queste parole è l’Arcivescovo, che conclude la Veglia di preghiera per la pace in Ucraina e negli altri Paesi del mondo, dal titolo «Dona nobis pacem».
Il cammino per le vie della città
Davanti a lui un migliaio di persone, giunte in chiesa camminando per circa un’ora in due gruppi separati: l’uno partito da via Ampezzo, nelle vicinanze del Consolato ucraino; l’altro da piazza Segesta, nella zona di quello russo. Un gesto altamente simbolico, come la data scelta, il 7 settembre, vigilia della Solennità della Natività di Maria e dell’inizio dell’anno pastorale ambrosiano, per un’iniziativa il cui successo è andato oltre le aspettative. Segno, come osservano molti, «che la gente vuole la pace».
Sostenuta dalla Diocesi e promossa dal Coordinamento Associazioni, Movimenti e Gruppi – presenti, tra gli altri, i presidenti dell’Azione Cattolica ambrosiana Gianni Borsa, della Fraternità di Comunione e Liberazione Davide Prosperi, delle Acli milanesi Andrea Villa, e figure note della Comunità di Sant’Egidio come Giorgio del Zanna -, la camminata e la Veglia hanno visto la numerosissima partecipazione dei ministri e dei fedeli delle Confessioni aderenti al Consiglio delle Chiese cristiane di Milano. In prima fila, la Chiesa cattolica ucraina di rito bizantino con padre Igor Krupa e il Patriarcato di Mosca con l’archimandrita padre Amvrosji Makar, che hanno preso la parola per portare la loro testimonianza durante la Veglia. Ma non sono mancati i fedeli ucraini della metropolia di Kiev (guidata dal patriarca Onufrji), e del Patriarcato di Mosca. Significativo anche che, partendo da via Ampezzo, il corteo sia transitato vicino alla chiesa romena dei Santi Nazaro, Protaso, Gervaso e Parasceva del Patriarcato di Bucarest.
A rappresentare la Chiesa di Milano, con l’Arcivescovo, il vicario generale monsignor Franco Agnesi, il vicario episcopale di settore monsignor Luca Bressan, quello per la Zona I monsignor Giuseppe Vegezzi, il Moderator Curiae monsignor Carlo Azzimonti, don Alberto Vitali (responsabile dell’Ufficio per la pastorale dei Migranti) e il diacono permanente Roberto Pagani (responsabile del Servizio Ecumenismo e Dialogo).
Camminando, pregando il Rosario e ascoltando brani dal libro del profeta Isaia e stralci del discorso rivolto il 9 gennaio scorso da papa Francesco ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, si arriva a Santa Maria Regina della Pace – la cui intitolazione già dice tutto -, dove sotto il monumentale mosaico di Maria che tiene in braccio il Bambino prendono posto, a semicerchio, i ministri delle diverse Confessioni cristiane e i rappresentanti del Coordinamento diocesano. I fedeli si affollano fin sul sagrato. Ai piedi dell’altare maggiore le icone mariane ricordano la venerazione e l’amore di tutte le Chiese per la Vergine.
Le testimonianze
Con il rito della Luce si avvia la Veglia, aperta da Daniela Di Carlo, pastora della Chiesa evangelica valdese e presidente di turno del Cccm: «Vi porto il saluto delle 19 Chiese del Consiglio delle Chiese cristiane. Per costruire la pace basta fare solo una cosa, non uccidere: che accada sul lavoro, attraverso la guerra, la violenza contro le donne, il creato, la diversità dei suoli, del clima, delle persone di tanti colori nati tutti dal desiderio di Dio di amare la sua umanità. Per fare la pace, come dice papa Francesco, ci vuole più coraggio che a fare la guerra. Che il nostro unico Dio ci aiuti a essere costruttrici e costruttori di pace in Gesù Cristo». Cita, Di Carlo, anche Epifanyj, metropolita della Chiesa autocefala ucraina: «La guerra non può mai essere santa, le guerre esistono perché esiste il peccato, non si può fare la guerra in nome di Dio».
Parole cui fa eco padre Krupa: «Abbiamo camminato con il Rosario, la preghiera più bella e conosciuta, la bomba atomica della Chiesa, come l’ha chiamata Giovanni Paolo II, che stasera è stata gettata e spero che faccia ciò che deve fare, ossia esaudire le nostre preghiere. Durante la guerra sono già morti più di 500 bambini, immaginate chi deve usare la bocca per disegnare e per tenere la matita perché non ha più le mani. Queste sono le atrocità della guerra: dobbiamo pregare perché si convertano anche coloro che l’hanno iniziata. Dobbiamo pregare anche per coloro che danno ordine di bombardare, di uccidere a sangue freddo, di violentare, persone che sono cristiane e benedicono armi e guerre. In questi giorni a Roma è in corso il Sinodo della Chiesa cattolica di Ucraina di rito bizantino e i nostri Vescovi sono stati dal Papa. Hanno chiesto di liberare due sacerdoti imprigionati dai russi. Non possiamo più dire mezze verità, ma dire le cose come stanno veramente. Tante volte sentiamo parlare i grandi della terra, ma tutti possiamo e dobbiamo essere piccoli artigiani della pace. Dicendo almeno una volta al giorno un’Ave Maria per la pace, essa arriverà».
«La vostra preghiera è davvero una forza che ci dà pace – sottolinea, da parte sua, padre Makar -. Ci sono difficoltà, ma Dio ci fa stare insieme. Preghiamo di aiutarci a vivere nell’amore, quello appunto che ci manca. Noi sentiamo come la guerra ci unifica e come il nostro cuore piange. Vi ringrazio molto per questa preghiera perché la città di Milano è per tutti un grande sostegno, per chi soffre da ambedue le parti. Se noi siamo insieme, la pace entrerà nella nostra vita e nel nostro cuore».
«Vogliamo essere cristiani uniti nella pace»
Dopo la lettura del Vangelo di Matteo al capitolo 5 (con il famoso brano dell’«occhio per occhio, dente per dente») da parte del parroco e decano don Andrea Meregalli, l’omelia dell’Arcivescovo è un invito a proseguire nel chiedere, ostinatamente, la pace nel mondo: «Non possiamo nascondere il sospetto di essere insignificanti: noi protestiamo contro la guerra, raccogliamo firme, facciamo manifestazioni, parliamo e scriviamo. Ma chi ci ascolta? Non ci ascolta l’aggressore che ha i suoi interessi e la sua ottusità, e non ci ascolta l’aggredito perché deve difendere la sua terra e la sua gente, non i rappresentanti del popolo e i capi di Stato che non riescono a trovare una via perché la diplomazia e il dialogo giungano a una soluzione; non ci ascoltano quelli che vendono le armi e fanno affari. Siamo desolati per il sospetto di essere irrilevanti, ma questa Veglia ci ha radunati e io ringrazio chi ha scelto di essere qui, quando ancora ci giungono notizie di stragi di innocenti, di crudeltà, di eventi incomprensibili, e le persone di buon senso vedono che non si fa altro che rovinare, perché con la guerra tutto è perduto. Questa sera noi vogliamo professare la nostra fede: Dio ci ascolta, noi siamo originali, vogliamo essere straordinari perdonando perché Dio ci ascolta. Siamo qui a professare la nostra fede in Dio non per cercare un rapporto di causa effetto, ma la legge del piccolo seme, perché questa è la via di Gesù che ha ragione più di tutti i sapienti della terra. Siamo qui per dire che vogliamo seguire Gesù».
Ma cosa significa questo?, chiede monsignor Delpini. «Seguire Dio come lo presenta Gesù, dicendoci che Dio si commuove. La commozione del Padre indica il dono dello Spirito e che, dunque, l’opera di Dio si compie nella storia con la logica del Vangelo. Noi ci ostiniamo a praticare la logica evangelica del più piccolo tra tutti i semi». Una logica da mettere in pratica, ogni giorno, con i gesti anche minimi. Il riferimento è ai tre grandi padri fondatori dell’Europa, De Gasperi, Schumann e Adenauer, che credettero per primi «nel sogno della pace»: «Nella storia ci sono state persone scriteriate che hanno distrutto interi Paesi, ma anche tre cristiani saggi che hanno raccolto il gemito di un’Europa distrutta. Chiediamo al Signore che vi siano persone così significative».
Poi, la constatazione dolente delle fedi separate: «Siamo insignificanti anche perché siamo divisi, ci sono cristiani da una parte e dall’altra dei popoli in guerra, talvolta anche tra cattolici ci sono divisioni. Come possiamo essere un popolo di pace se anche tra noi facciamo fatica a intenderci? Siamo qui per dire che ci dispiace non essere tutti uniti in un’unica Chiesa, ma vogliamo volerci bene, camminare insieme, almeno per chiedere la pace. Forse un giorno si dirà: Milano è stato un laboratorio di pace».
Tra i canti mariani – magnifici ed evocativi quello iniziale in russo e quello in ucraino, prima della benedizione, entrambi inni alla Madre di Dio -, la preghiera di intercessione, la recita corale del Padre Nostro e il canto finale della Salve Regina, la benedizione è occasione per una sorta di consegna da parte dell’Arcivescovo: «Siamo tanti, ma rischiamo di essere irrilevanti se non siamo benedizione per gli altri: assumiamoci questo compito scambiando il segno della pace». Uno scambio di pace nell’amicizia e tanti sorrisi che, ormai a notte, si prolunga sul sagrato, mentre vengono raccolte offerte per le Chiese presenti in Ucraina e «per asciugare qualche lacrima».